The Vaccines
Combat Sports

2018, Sony Music
Indie Rock

"Che cosa ci aspettavamo?"
Recensione di Paolo Stegani - Pubblicata in data: 16/04/18

Il primo lavoro in studio della band si presentava con un titolo profetico, una domanda scomoda e ingombrante: "What Did You Expect From The Vaccines?". L'ascolto tolse poi ogni dubbio, e fece capire cosa effettivamente aspettarsi dai Vaccines. Grande potenziale, quindi grandi canzoni. Forse è proprio questo ciò che crea pareri discordanti, soprattutto fra coloro che hanno ascoltato il nuovissimo "Combat Sports": c'è chi li considera fra i pionieri dell'indie rock anni 2000, assieme a Franz Ferdinand & Co., e chi invece da allora li accusa di pigrizia ingiustificata o addirittura autodistruttiva. In qualsiasi modo la si pensi, la cresta dell'onda su cui surfano dal 2011 continua ad essere piuttosto alta, sostenuta anche da canzoni il cui habitat naturale è la radio.

 

Come dicevamo, "Combat Sports" è uno di quegli album che divide fra chi lo considera un valido tentativo di continuare la china del precedente "English Graffiti" senza troppe pretese e chi pensa che l'asticella della indie band britannica potrebbe essere molto più alta, oppure un tassello non così cruciale in una carriera a cui servirebbe invece una scossa. Le undici tracce che compongono la tracklist non potevano che lasciarsi pubblicizzare dal primo estratto "I Can't Quit", forse l'unico pezzo con tutti i requisiti necessari per essere un singolo efficace: diretto, allegro ed incisivo ha rivelato al mondo (accompagnato da un videoclip girato a casa nostra, fra le strade del quartiere Castello di Cagliari, leggi QUI cosa ci ha raccontato Justin Young a proposito) come l'intento dei The Vaccines, anche per questo quarto album, di voler dar vita a nuova musica dai toni leggeri, senza sfide rivolte né al music business né a se stessi.

 

L'impronta è quasi completamente data dalla distorsione, con un solo brano a spezzare i toni, la corta e delicata "Young American". L'incisiva "Night Club" potrebbe tranquillamente essere uscita dal 2005, per via delle sonorità tipiche dell'indie più sincero e diretto che in quel periodo per la prima volta (The Strokes a parte) faceva il suo ingresso nelle classifiche. "Out On The Street", "Take It Easy" e "Someone To Lose" sono brani di un certo livello e si sente da subito, ma proprio per questo attirano maggior scrutinio: non è giusto attaccarle per la loro leggerezza, ma per un'eccessiva ricerca della "melodia accattivante" sì. Elemento nuovo all'interno del sound del gruppo, le tastiere del neo-entrato Tim Lanham non sfigurano, così come non danno quel tocco in più che molto probabilmente sarebbe servito e avrebbe dato più carattere al resto di un album altrimenti piuttosto sterile. Interessante la conclusiva "Rolling Stones", gradevole alternarsi di strofe calme a intermezzi che dal vivo godranno sicuramente di vita facile.

 

Sarebbe bello pensare che l'intenzione fosse quella di creare undici canzoni tormentone, dal ritornello facile. Forse è però più onesto pensare che alcune di esse siano nate (o semplicemente risultino) come filler, seppur di buon livello. Nessun dubbio che faranno ballare, saltare, divertire e così via, ma è forse ora di guardare oltre e spingersi più in là, aiutati da un talento che potrebbe fare la differenza su tante altre realtà presenti nel panorama attuale. Nasce una giustificata paura che forse questo potrebbe non accadere, ed una paura simile soltanto al quarto album non è cosa da poco. Che sia un bene o un male, come si dice, "ciascun pensa per sè".





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