Chi segue gli Ataris si è fermato ai primi anni duemila, rimasto sopraffatto da gruppi ben più carismatici ed esuberanti che hanno relegato il progetto di Kris Roe in seconda fascia. Chi invece segue la scena Punk Rock Revival difficilmente si sarà lasciato sfuggire un disco da mostra temporanea, da collezione annuale, che contiene rarità e versioni inedite di brani fino ad ora custoditi in segreto. Ma è proprio nelle compilation non masterizzate che, spesso, si cela l'identità di un gruppo. Ed è delle compilation che si va a caccia quando la stagione della ricerca è necessariamente aperta.
Pubblicata il 15 aprile 2015 in occasione, inevitabile, del Record Store Day, l'ultima raccolta degli Ataris è la prima degna di questo nome. Spezzata a metà tra demo acustiche quasi Folk Country e basi tipiche della band dell'Indiana, etichettata Kung Fu Records per inerzia più che per reale appartenenza commerciale, la compilation cela ben più che un banale presupposto di promozione del tour estivo - ben riuscito e sinonimo di buona salute, negli USA, di un genere non più attuale - o la necessità di rivelare del materiale da tempo in esubero: arrivati troppo tardi sulle scene mainstream - fortunatamente - per trasformarsi nel prototipo che le label forse auspicavano, gli Ataris tendono una mano sonora alle nuove generazioni, provando a convincerle, con la semplicità universale che li ha sempre contraddistinti, della realtà della musica, dell'essenza del comporre.
Registrata male, su più volumi, con strumenti e voci in presa diretta e grezza, la compilation è una carezza di compassione rivolta a tutta la scena Pop Punk del decennio successivo a quello della band che ha preferito la dignità alla notorietà.