Non è solo grazie a poche hit che i concetti e le emozioni dei primi ’90 sopravvivono e si evolvono fino ai giorni nostri. Essi sono raminghi famelici che si nutrono di tutto ciò che viene scartato dalla società, dalle società, per farsi notare in rari e brevi attimi di luce, su piedistalli storti, anticonvenzionali. E così, due asolescenze dopo, Last Splash riemerge con la consapevolezza di un bambino, con la sfacciataggine di un adulto che bambino si vuole sentire ancora. Bastano due accordi su cui insistere pesantemente, su cui costruire castelli, case, palafitte di sensazioni morbide ma provocatorie abbastanza per resistere alle intemperie e alle accuse esterne. Accuse, colpi, hit. Ecco che Cannonball non è che apripista di un viaggio che mette in luce l’ottimismo di un’era disfattista. È l’ottimismo degli ignari e degli immaturi, quelli che proprio grazie ad esso si salvano dalla complessità di un mondo che colpisce non per caso, ma perché lo vuole.
Spitting in a wishing well
Blown to hell
Crash
I'm the last splash
I'll be your whatever you want
Last Splash è il rifugio dalla quotidianità, il balzo nel rifugio inattaccabile, la resa di fronte al vivere come ci viene imposto. E’ considerato una pietra miliare della generazione ’90, un riferimento così come la sua delicata stazza, la sua incombente provocazione, la sua lenta e progressiva disfacente dimensione, come la sua ideatrice e produttrice, che con esso capì quanto il progetto Breeders fosse più di un ripiego nei confronti dei Pixies che furono, o che sarebbero diventati. Kim Deal ha sempre avuto la testa di una guru, forse troppo saggia per solo pensare di pianificare un’ascesa, totalmente abbandonata alle sensazioni convertite in distorsioni. Ed è dalle stesse distorsioni, aggraziate ed orecchiabili come solo la sensibilità femminile riesce a renderle, che nascono i pensieri più fugaci. Accompagnano i sogni nel profondo, tendono corde al risveglio, feriscono e mordono assopendo le rivoluzioni. Le credono inutili, le fanno affogare.