In un'epoca in cui il mercato musicale scivola, annaspa e affoga i fratelli Perri hanno la bizzarra idea di pagare i primi cento fortunati che scaricheranno il loro ultimo album. La grande trovata valeva dieci euro a download, ma ovviamente ora è già troppo tardi per incassare il guiderdone in serbo; non lo è invece per godersi un album davvero interessante dall'inizio alla fine.
The Perris arrivano da Reggio Emilia, e, nonostante l'autoironia (e l'autolesionismo) che trapela dalle loro trovate promozionali fanno un rock elettronico denso e opprimente che, anzi, prendono molto sul serio. La qualità già era del tutto evidente dall'esordio di "Hic Sunt Leones" (anch'esso da recuperare), ma ora intraprende grazie a "Universi Piccolissimi" una grandissima ascesa. L'esplorazione elettronica nei meandri claustrofobici e stranianti della modernità ha i Neu! come illustri antenati, mentre l'utilizzo delle melodie riconoscibili collocate in canzoni prive dello schema strofa-ritornello proviene piuttosto dalla britannia dei Death in Vegas e dei Radiohead di "Kid A" e "Amnesiac". La differenza di mezzi rispetto a quest'ultimi purtroppo non può dare esiti sullo stesso livello sonoro, ma la voce dal gusto lo-fi e la stesura di strati sonori a "colore piatto" rendono di forte impronta le evoluzioni dei brani. Sono molte, infatti, le idee che si susseguono l'una dopo l'altra: ora può essere il dettaglio strumentale che modula la propria sonorità, ora l'appodo inaspettato a una nuova frase melodica. E per avere un'idea nitida della capacità compositiva dei reggiani "Kubrick" o "Fighting Fingers" sono perfette.
L'originale costruzione delle composizioni è priva di una vera aria musicale, ma è destrutturata in piccoli "bocconi" di spunti ritmici e melodici piuttosto orecchiabili assemblati assieme mediante tastiere, chitarre, e altri effetti sonori; in questo modo viene conferita un'apparente facilità ad arrangiamenti che sono invece molto articolati. Se ricordate il primo album dei Kasabian, il più elettronico e oscuro fra quelli pubblicati dalla band di Leicester, potrete trovare qualche punto di contatto con questa musica, ma anche la particolare originalità dei Perris: le melodie ci sono, ma non sono lo scopo della canzone, lo è molto di più l'articolato lavoro strumentale; c'è l'atmosfera caliginosa prodotta dall'elettronica, ma i Perris si avvalgono di uno spettro sonoro molto più variegato e viscerale. Ciò che invece li distingue dalla filosofia alla Neu! è la ridotta dimensione astratta della musica in favore della fruibilità immediata.
Una volta immersi in questo flusso multiforme di suoni ci accorgiamo che il sentimento di fondo è però costante ed unitario: a monte della composizione ragionata domina sempre una tensione emotiva genericamente tesa e claustrofobica che raramente arriva ad essere contagiosa sull'ascoltatore. Ciò che rendeva un capolavoro, ad esempio, un "Amnesiac", ossia dare alla sperimentazione un volto emotivo (come in "Pyramid Song") è esattamente ciò che manca a "Universi Piccolissimi" per diventare un lavoro davvero magistrale. Non escludo che questa ottima band nostrana ce la faccia al prossimo giro, con qualche risorsa in più. Per il momento presentarveli come una band di talento notevole è un obbligo, ma anche un piacere.