Il lasso di tempo tra l'ascolto di un album e il comprenderlo veramente è qualcosa di misterioso, inesplorato, almeno per noi. Capita spesso di ascoltare lavori privi di un vero approccio con l'ascoltatore, i classici album che non perdono tempo a dire tutto e subito. Questo "The Darkest Hour", terzo lavoro in studio dei The Shiver, non ci tiene affatto a svelarsi con facilità: ermetico nel suo artwork, silenzioso nel titolo, pacato nella presentazione. La band laziale, in giro ormai da un po', è già riuscita a farsi apprezzare anche oltre Italia e questo terzo lavoro dovrebbe quindi confermare le buone impressioni suscitate dai suoi predecessori. Ecco sì, dovrebbe.
E' proprio a questo punto che viene da chiedersi se la nostra comprensione è effettivamente giusta. Ci troviamo, infatti, davanti un album principalmente strutturato su delle buone basi, per lo più alternative rock sì, dal sapore malinconico e avvolgente -caratteristica riconducibile principalmente alla vocalità di Federica Sciamanna- è lei ad innestare quella vena malinconica ma non melensa che avvolge le dieci tracce. Premiamo play. Ci accoglie il singolo “Ocean”, timido nel suo approccio quanto forte nella sua interpretazione; ma è proprio qui che sorgono i primi problemi. Il suono ha qualcosa che non va, le chitarre prendono posto senza prepotenza e il synth accalappia e surclassa la parte ritmica durante tutta la durata della traccia, lasciando quindi, poco spazio alla voce di Federica, imprigionata in una sorta di sfera di cristallo sonora. Nessuna traccia sfugge alla prigione del suono, una fitta nebbia riscontrabile anche dall'orecchio meno esperto; Tracce come “The Key” o l'enigmatica “The Secret” (sulla linea dei primi Evanescence) risultano comunque godibili ma spogliate della loro forza, un gran peccato.
Quel che rimane a fine ascolto è un amarezza di fondo ma soprattutto la consapevolezza che il lavoro di Federica, Francesco, Vincenzo e Michele, seppur non originale, avrebbe potuto sicuramente dar di più, le potenzialità non mancano. Il lavoro del musicista in fase di produzione va amplificato ma sopratutto non soppresso, è purtroppo questo il peggior difetto di “The Darkest Hour”.