Come around on the wrong part of town: per la terza volta le vecchie glorie fondono Rap e Punk
Non c'è cosa più attuale dell'accostare strofe Rap a ritornelli melanconici e melodici. Specie in Italia, dove - non solamente nel deplorevole emisfero Pop - l'attenzione all'armonia nella fusione di generi apparentemente opposti è alta e, se ben riuscita, largamente apprezzata e fruita. La combinazione tornata ora di moda non è però niente di innovativo, ma vale la pena contestualizzare l'analisi di un disco che, pur registrato più per gioco che per intenti seri - è questa la filosofia del gruppo e, in generale, di questa scena - rivela uno stile degno di nota. Ridimensioniamo l'accoppiata al Punk e otteniamo una miscela Rapcore revival grezza e graffiante che nel 2013 giunse alla propria terza uscita. E poco conta se si tratta di un supergruppo di pesi massimi come Tim Armstrong (Rancid, ex-Operation Ivy), Rob Aston (detto Skinhead Rob) e Travis Barker (blink-182, Box Car Racer): i
Transplants sono un esperimento magistrale, uno spin-off di quelli che provocano e contribuiscono alla creatività di tutte le band annesse al circuito di appartenenza.
Roster Epithap e attitudine necessariamente HellCat, nel sito dell'etichetta dei Rancid si narra della genesi del gruppo, partendo da un aneddoto datato 1999. Non è Eminem, sebbene si sentano forti somiglianze, l'influencer principale di "In A Warzone": nei Transplants e nel concept guerrigliero e polveroso che il loro ultimo album interpreta, emergono e respirano i suoni dei Rancid e la malinconia degli ultimi blink, avvinghiandosi e lottando nel baratro inaccessibile ai rispettivi gruppi di appartenenza. Un progetto a lungo investimento o un passatempo creativo? Di fatto il lavoro - che attinge e piena mani dalla strada e dai bassifondi moderni - accoglie e sviluppa temi e ritmi che se nel Rap sono sbattuti in faccia a ripetizione continua, nel Punk si caricano del carattere che la vecchia scuola ha trovato il - nuovo - modo di esprimere.