The Zen Circus
Canzoni Contro La Natura

2014, La Tempesta
Indie Rock

Canzoni contro la Natura: gli Zen alle prese con la parodia di se stessi
Recensione di Nicolò Rizzo - Pubblicata in data: 29/01/14

Quella degli indie rockers italiani è una strana parabola:


1) Entri in scena con un album interessante, che si distingue dalla massa per un qualcosa in più, innescando un passaparola generale nel circuito indie fino ad attirare una discreta fetta di quel pubblico ai tuoi concerti, dove dimostri che, dal vivo, rendi molto di più che su disco.


2) Come insegna Caparezza, "il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista": è il disco della consacrazione, quello che conferma le aspettative del primo album portandole alla stelle. Il più delle volte è destinato a diventare un e proprio cult, e sarà quello che sarà quello che i fan più accaniti continueranno a rimpiangere quando inizierai a fare qualcosa di diverso.


3) Il terzo album è quello del cambiamento, in cui tenti di cavalcare l'onda di successo del secondo album ma, al tempo stesso, tenti di cambiare stile per evitare di fossilizzarti. In ogni caso, per i fan della vecchia scuola farà comunque più schifo del secondo. Inizierai a diventare meno indipendente e più mainstream, facendo storcere il naso a hipster e indie vari, che continueranno ad ascoltare il secondo album, uscito al massimo un anno prima, ripensando ai bei vecchi tempi in cui non facevi musica commerciale.


4) Fai un tour dove riproponi il secondo album in maniera integrale.


Con "Canzoni Contro La Natura", anche gli Zen Circus, veri e propri veterani del panorama indie, si stanno già scontrando con diversi brusii di sottofondo, in particolare da quella parte di pubblico più esigente che, ovviamente, si aspetta sempre quel qualcosa in più, di natura ignota anche per loro. Anche se forse il termine "veterani" è esagerato, Appino e soci sono più vecchi di quello che danno a vedere: sebbene molti tendano a trascurarlo, gli Zen sono in circolazione da ben vent'anni (all'epoca in realtà erano conosciuti come The Zen, ma poco importa), arrivando a sfornare, con "Canzoni Contro la Natura", ben otto album in studio. Nonostante ciò, tutti tendono a considerare la loro carriera a partire da quello che, al momento, costituisce il loro lavoro più importante: "Andate Tutti Affanculo". Il motivo di tale oblio è molto semplice: i primi tre album erano cantati completamente in inglese. La decisione di tornare alla lingua madre (a partire dal loro quarto album "Vita e Opininioni di Nello Scarpellini, gentiluomo") si è rivelata salvifica, portando alla band nuova ispirazione, riuscendo e a far presa sul pubblico con la forza travolgente del loro folk punk e la carica suadente delle loro parole. Più che la componente musicale, sono infatti i testi che, dopo il ritorno alla lingua natia, hanno fatto la fortuna della band, diventata con il passare degli anni un vero e proprio manifesto di una generazione di giovani "ragazzi eroi", nichilisti e ribelli attratti dalla misurata arroganza e dalla strafottenza politica e sociale delle loro parole. Il rischio di creare dei testi "importanti" è che il pubblico, ormai affamato di belle parole, si aspetta sempre di più, dimostrandosi sempre meno tollerante verso strofe dimesse e poco incazzate. Sfortunatamente, molti hanno visto qualcosa di simile in "Viva", il primo singolo tratto da "Canzoni Contro La Natura". In effetti, ad un primo ascolto si avverte che la tensione polemica e la cattiveria verbale tipica della band si è in parte affievolita, lasciando spazio ad un ottimismo menefreghista che esplode nell'elenco di "viva" finale, che finisce per far storcere il naso ai fan di vecchia data, sorpresi di trovare un'eco di Rino Gaetano in una canzone di Appino e soci. Benché hipster e vari fan di vecchia data tendano a scaricare il pezzo con un semplice colpo di sciacquone, in realtà "Viva" è un signor pezzo, che abbandona la rabbia dei prezzi precedenti ricercando una sonorità più solare e ricercata, che punta su una forte componente cantautorale più ricercata di quello che sembra.


Quello che caratterizza "Canzoni Contro La Natura" è in effetti il tentativo di approdare ad una produzione più colta e matura, con un'emulazione sfrenata, e a volte poco riuscita, di veri e propri giganti della musica italiana. E così, oltre al già citato Rino Gaetano, Appino ricalca i toni e le movenze di Finardi in "Canzone Contro La Natura", per poi passare al già affermato modello di De André: "Albero di Tiglio" (probabilmente l'episodio più interessante del disco) potrebbe benissimo trovare posto in "Non al Denaro non all'Amore né al Cielo", mentre risulta invece impossibile non trovare una straordinaria affinità tra "L'anarchico e il Generale" e "Il Pescatore", una citazione talmente dichiarata da rasentare il plagio. Per il resto, il disco si dimostra tutt'altro che impressionante, passando da sonorità country di "Vai vai vai!", la delicata melodia "Sestri Levante" e quelli che sono i due pezzi più "zen" del disco, vale a dire "Postumia" (che molti hanno associato all'appiniana "1983") "No Way", che però mancano di quel vigore, finendo per creare una parodia di se stessi.


"Canzoni Contro la Natura" è quindi un disco che non sorprende, regalando pochi episodi degni di nota (vedi "Canzone contro la Natura", "Viva" e "L'albero di tiglio") in un disco che lascia soltanto un imbarazzante alone di già sentito. Che dire, con un disco solista come "Il Testamento" di Appino (quello sì che è un album degno di nota), ci si aspettava qualcosa di più. E tornando al discorso iniziale, se il pubblico non si accontenta, il più delle volte ha ragione. Insomma, citando lo stesso Appino (vedi "La Festa della Liberazione"), mi permetto di concludere questa recensione con una frase che, a mio parere, ben si accompagna al disco:


"L'imene rotto della meraviglia, nessuna scintilla, una sega a metà."





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