Nel 2017 avevamo lasciato i Theory Of A Deadman alle prese con un cambio di stile netto. Abbandonato il post grunge tipico di inizio millennio, con "Wake Up Call" si è aperta per il quartetto canadese una nuova fase, caratterizzata da un ammodernamento del songwriting in chiave si pop-rock, con effetti a dir poco contrastanti sul pubblico. Certamente qualcosa di buono c'è. I testi hanno raggiunto una maturità che nei primi cinque lavori non era così pronunciata, mentre entra in modo disorientante una contaminazione di generi, a discapito di qualche chitarra distorta ma a vantaggio dell'inserimento di una pluralità di strumenti. Nel 2020, con il nuovo "Say Nothing", i Theory Of A Deadman vogliono dimostrare di aver seguito la strada giusta.
Si può osservare il cambiamento come spinta oltre la propria comfort zone per scandagliare nuove possibilità, oppure come un adattamento necessario al mercato discografico sempre più frenetico con l'unico intento di sopravvivere. Fatto sta che i Theory Of A Deadman non arretrano di un passo, anzi, puntano ancora più in alto negli arrangiamenti. Una costante rimane la produzione di Martin Terefe, alle prese anche con il precedente "Wake Up Call", fautore di una nuova estetica sonora per gli ex rockettari di Delta.
Le atmosfere di questo nuovo "Say Nothing" ci calano subito in ambienti più dark a partire da "Black Hole In Your Heart", dove l'orchestra d'archi si fonde al groove e al songwriting in stile Imagine Dragons. Ma basta a rendere interessante un pezzo poco ispirato? La voce baritonale Tyler Connolly sembra frenata da una melodia cantilenante e poco coinvolgente, mentre è dall'ascolto strumentale che si traggono gli spunti più interessanti. Risolleva le sorti di un disco iniziato non al meglio la più riuscita "History Of Violence", una sotria di abusi domestici cantata con passione, meno sperimentale nella struttura.
"Affluenza" è capace di sfoggiare una palette cromatica inusuale nella discografia dei TOAD, effetto una rilassatezza inaspettata che musicalmente incarna la East Coast ma al contempo cozza contro uno stile di vita consumistico "We just buy things we can't afford". Il Nostri raccontano di temi forti: povertà e depressione, come nella title track "Say Nothing", dove alle prese con le proprie difficoltà personali si finisce per rovinare relazioni e rapporti.
Di nuovo questo leggero contrasto tra la durezza dei testi e la morbidezza degli arrangiamenti è la cifra che caratterizza (o prova a farlo) tutte e dieci le tracce che compongono il disco. Vale per una "Strangers" che pare guardare indietro ai tempi più rock della band ma affrontando le tematiche legate all'abuso dei social network che ci portano inevitabilmente all'estraneazione, così come vale per "Quicksand". Per il giusto connubio tra sperimentazione e completezza, si tratta di una delle canzoni più riuscite, a metà strada tra il pop e il soul ma senza abbandonare la venatura rock che contraddistingue il quartetto. Viaggia su più generi anche "White Boy", con le chitarre funky, i cori RnB e un arrangiamento minimale. Quando a chiudere è "It's All Good" la pace sembra ritrovata grazie a un canto pop acustico da intonare a squarciagola che farà sicuramente faville dal vivo. Eppure sembra leggermente stonare nell'insieme della cupezza dei testi, quasi a voler concedere un lieto fine a tutti i costi.
Parlando alle anime travagliate, i Theory Of A Deadman si scoprono più intimisti e audaci (questo aspetto sicuramente da incoraggiare) ma non ancora del tutto convincenti, acerbi nella scelta compositiva. Non resta che aspettare il nuovo disco di quella che potrebbe essere una trilogia iniziata nel 2017 e di cui "Say Nothing" risulta un buon intermediario verso la compiutezza.