Produzione da grandi nomi e titolo ambizioso per l'esordio dei These Reigning Days, giovanissimo power trio britannico giunto con "Opera Of Love" al primo contratto importante della carriera, ma i cui singoli allietano una discreta quantità di avventori di YouTube già da un paio d'anni. Di certo non rivoluzionarie, le coordinate stilistiche tra le quali bazzicano i brani sono da ricercare nell'ampia regione compresa tra il cantato a voce piena e le soluzioni più morbide dei White Lies, gli episodi più ruffiani e pop-oriented a marca The Killers, o l'attitudine a stendere distorti e riverberati tappeti di basso secondo la scuola Muse (oltre che per tocchi western di cydoniana memoria, affioranti su "Too Late").
Lezioni, quelle elencate, apprese con disciplinata dedizione, con ottimo mestiere e anche con una certa propensione a cambiare le carte in tavola, che si concretizza in salti di tono spesso azzeccati (il passaggio dalle vocals taglienti e rarefatte delle strofe alle chitarre dure e alle voci più dure del ritornello di "Changes", o gli ottimi abbracci tra penetranti riff e tastiere della title track) ma talvolta dagli esiti incomprensibili (il terribile e danzereccio refrain che s'accanisce, distruggendolo, sul pathos creato nei primi secondi dell'opener) quando non disastrosamente stucchevoli (gli evitabili inserti femminili, e robotizzati, di "I Need Time"). Nel complesso, comunque, i passi falsi restano in numero nettamente minore rispetto a pezzi, se non indimenticabili, quantomeno orecchiabili e coinvolgenti. E in un mercato che un'estate dopo l'altra accoglie con fervente entusiasmo giovani new sensations del synth-pop-rock (non molto tempo fa toccava agli Imagine Dragons, dalla proposta decisamente simile sia stilisticamente, sia qualitativamente) non ci sono particolari ragioni per scartare a prescindere l'idea che quest'anno possa toccare a Dan Steer e compagni.