Il racconto mitologico dei remoti progenitori nordici della civiltà occidentale si dispiega per tredici tracce senza sbavature né picchi. Anche il disco 2, che esula dal concept, non aggiunge né toglie nulla a quanto detto. Tutto fila via liscio e levigato, ed è forse questo il vero limite del lavoro.
Urge aprire una dolorosa ma necessaria parentesi: occorre capire ciò che si intende per heavy metal. Per alcuni significa oscurità e mistero, misticismo mitologico, romanticismo, una certa allure dark e il ricorso a precisi stilemi (ad esempio: testi che inneggiano a un passato nostalgicamente perduto, outfit all black, distorsioni, un po' di doppia cassa qua e là). Tutto corretto, certo, ma a nostro sentire manca ancora qualcosa per essere metal, cioè l'attitudine. Ascoltando "Thornstar" si avvertono tutti gli ingredienti sopra elencati, ma l'approccio generale del lavoro è assai lontano dal metal; ha più a che fare, appunto, col dark/wave anni'80, genere di tutto rispetto, intendiamoci, ma ben distinto e - per certi versi, almeno in origine - anche opposto al metal. I Lord Of The Lost puntano proprio al sincretismo ma, a a nostro sentire, tale fusione riesce nell'album a prezzo dell'attitudine. Non vorremmo sembrare critici in chiodo e monocolo, è solo che abbiamo ben presente il sound di band in cui la fusione tra metal e suggestioni wave riesce senza sacrificare l'approccio, basti pensare ai Paradise Lost. Nel frattempo si è poi affermato il folk metal, col quale la proposta dei Lord Of The Lost ha parecchi punti di contatto, ma sebbene sia al sesto lavoro in studio e fatta salva l'ambizione del doppio album (concept + bonus disc), non ci sembra che dal punto di vista musicale la band tedesca abbia messo a punto uno stile davvero personale e convincente. Non bastano i picchi di assalto di brani come "Haythor" (il remoto modello, secondo il concept, del dio nordico Thor), in cui il cantato vira al growl e fa capolino un poco di doppia cassa, o le fughe tra wave, doom ed epic di brani come "Naxxar", "Under The Sun", "In Darkness, In Light" per dare pepe a un disco armonicamente ripetitivo, ben confezionato ma freddo, lontano dal rischio, dalla violenza, dal sacro calore di fusione che si osa pretendere da ogni album metal degno di questo nome.
Per opposto, suonano più riusciti i brani più lontani dal metal, come la suggestiva "The Mortarian". Stando così le cose, ci chiediamo: ha senso definirsi metal?
In conclusione, il giudizio sull'album dipende da ciò che ritenete sia metal. Se vi bastano gli ingredienti sopra elencati, fermatevi qui: "Thornstar" è quello che fa per voi, c'è oscurità, solennità, romanticismo, nostalgia, mito e facce serie. Ma se siete soliti non fermarvi alla confezione, se vi piace andare al sodo, se cercate vera attitudine, un doppio album di questa mole ed ambizione non potrà che deludere le vostre legittime aspettative.