Timo Tolkki's Avalon
Angels Of The Apocalypse

2014, Frontiers Records
Power Metal

Recensione di Andrea Mariano - Pubblicata in data: 16/05/14

Con quel voto che non era né sufficienza, né insufficienza, forse, fummo troppo duri un anno fa con Timo Tolkki, ma in sede di recensione scrivemmo chiaro e tondo che buoni spunti, sì, erano presenti in “The Land Of New Hope”, che belle prestazioni, sì, erano presenti nel primo capitolo della saga di Avalon, ma che alcune scelte stilistiche erano tutt’altro che azzeccate, ed andavano a minare con un certo vigore l’opera.


Proprio per questo il sottoscritto non nasconde una certa difficoltà nella stesura di questo articolo riguardante il secondo capitolo della metal opera dell’ex Stratovarius, “Angels Of The Apocaplypse”. Le premesse per correggere il tiro e realizzare un nuovo album superiore al pur godibile predecessore c’erano tutte, a partire dalla storia: gli Elementi della Natura mandano quattro angeli per osservare l’umanità ed il suo operato. Inorriditi da quanto sta accadendo, Fuoco , Vento, Terra ed Acqua decidono di punire gli uomini e di riportare tutto alla purezza d’un tempo, scatenando di fatto l’apocalisse. Nulla di trascendentale come potete immaginare, ma Tolkki è sempre stato affascinato dalla Natura e di ciò che in essa si nasconde, e ha sempre prodotto qualcosa di quantomeno interessante.


Dopo l’iniziale preghiera “Song Of Eden”, la genesi dell’assalto sonoro è affidato all’italianissimo Fabio Lione, che in “Jerusalem Is Falling” ci dona una delle prestazioni migliori di tutta la sua carriera: vibrato solo quando serve, voce possente e carica di pathos, il tutto sorretto da una delle migliori prove compositive che il corpulento chitarrista scandinavo abbia mai realizzato da quando naufragò il progetto Revolution Renaissance. È il giusto compromesso tra il classico stile tolkkiano, la sfarzosità tipica delle metal opera e buon gusto. Ahinoi una grande battuta d’arresto giunge con “Design The Century”, dove l’unico elemento davvero buono è l’intro di chitarra; peccato che proprio questo  è ripreso di peso, e solo abbassato di tonalità, da “Avalanche Anthem”, l’opener del precedente “The Land Of New Hope”. Il resto del brano sarebbe anche orecchiabile, ma la prestazione vocale di Floor Jansen è davvero scialba, piatta ed inspiegabilmente sotto tono, laddove una linea vocale più aggressiva sarebbe stata invece d’obbligo. Al contrario, l’ugola dei Nightwish, coadiuvata da Elize Ryd e Simone Simons, se la cava meglio nella monumentale title track: dieci minuti in classico stile Stratovarius fine anni Novanta, assolutamente apprezzabili e massicci. Peccato solo sfumi verso la fine, anziché riservarci una vera e propria conclusione roboante ed epica.


A proposito della cantante degli Epica, è un enorme piacere ascoltarla in “High Above On Me”, brano in cui riesce ad emozionare sin dall’inizio, grazie anche ad un’eccezionale Tolkki che nelle ballad in cui è richiesto un climax d’atmosfera e di intensità difficilmente sbaglia. Probabilmente, con “Jerusalem Is Falling”, è il momento in assoluto più bello e più riuscito dell’intera opera che stiamo esaminando: ottima struttura, ottima prestazione di tutti i musicisti (per questo secondo capitolo di Avalon hanno partecipato anche Tuomo Lassila e Antti Ikkonen, due ex Stratovarius epoca “Dreamspace”), ottimo assolo. Lo stesso non si può invece dire di “Rise Of The 4th Reich”, dove un pessimo David DeFeis, grazie ad una linea vocale orribile ed una voce fin troppo ritoccata stronca un brano dopotutto non così malvagio (peccato che il discorso di George Bush venga sovrastato dalla voce di DeFeis, sarebbe stato più logico non farlo cantare). Piacevole infine “Neon Sirens”, con l’ex Savatage Zachary Stevens che si destreggia abbastanza bene sulla canzone più cruda a livello sonoro. Il resto di “Angels Of The Apocalypse” naviga tra l’orecchiabile ma senza particolari guizzi di (“Stargate Of Atlantis” e “The Paradise Lost” cavalcano linee vocali tipicamente kotipelkiane e piaceranno ai più nostalgici) e buoni episodi rovinati da insensati e forzati innalzamenti di tonalità (“You’ll Bleed Forever”).


Il senso di cupezza che permea la pace della conclusiva “Garden Of Eden” attanaglia anche l’ascoltatore, il quale si vede da un lato quel che poteva essere e quel che invece è: buon plot, un’atmosfera aggressiva e plumbea, episodi convincenti che purtroppo si contano a fatica (molta fatica) sulle dita di una mano, prestazioni non sempre entusiasmanti e scelte che lasciano un po’ l’amaro in bocca. Timo Tollki è ancora in grado di realizzare qualcosa di epico, imponente e convincente, ma non in un solo anno di composizioni e registrazioni.


Qualora fosse stato realizzato con più calma, di certo nefandezze come “Rise Of The 4th Reich” e passaggi stucchevoli avrebbero lasciato il passo a soluzioni decisamente più in linea con quelle che sono le capacità del musicista scandinavo. Più sinteticamente, se Tolkki  avesse unito gli episodi migliori di “Angels Of Apocalypse” con quelli di “The Land Of New Hope”, avremmo avuto un signor album. Ma così non è stato, purtroppo.





01. Song For Eden
02. Jerusalem Is Falling
03. Design The Century
04. Rise Of The 4th Reich
05. Stargate Atlantis
06. You'll Bleed Forever
07. The Paradise Lost
08. Neon Sirens
09. High Above Of Me
10. Angels Of The Apocalypse
11. Garden Of Eden

Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool