Si presume, e ci sono innumerevoli casi in grado di attestarlo, che la frammentazione dei membri di un gruppo in rami successivi renda complicata la conservazione del livello qualitativo insito nella band progenitrice. Se già con l'EP d'esordio "Let It Burn" (1998) i Nebula avevano lanciato chiari segnali in direzione contraria alla teoria della dispersione nefasta, ebbene, la pubblicazione di "To The Center" (1999) sorpassa in curva a velocità sostenuta il pur ottimo "In Search Of..." (1996), parto migliore dei Fu Manchu, act madre del nuovo combo californiano. Sacra reliquia stoner, serbatoio infettivo che volteggia dalla psichedelia, allo space, dal neosabbathismo al rock'n'roll, senza trascurare alcuni lampi folk adatti ad arricchire ulteriormente il full-length, la seconda prova dei nostri, ristampata dalla Heavy Psych Sounds, lascia esterrefatti per eterogeneità e consistenza. La chiave per le tante sfumature presenti nell'opus risiede nelle capacità tecniche dei musicisti coinvolti: mentre Eddie Glass sa giocare abilmente con gli effetti quando costruisce i propri riff liquidi e muscolari, le variazioni ritmiche e tribali della batteria di Ruben Romano e l'ispessimento del basso di Mark Arbshire completano un parterre di desertica bufera.
Dal nucleo di "Synthetic Dream" si dipanano raggi violacei concentrati in un cosmico gioiello psych nel quale i contrasti strumentali si traducono in abrasivi fraseggi di chitarra combinati a suggestive melodie arpeggiate e sovraincisioni acustiche: una dissonanza enigmatica e sgretolabile che investe l'intero platter, ma che in questo brano raggiunge una perfetta compiutezza. Le sensazioni evocate costituiscono soltanto l'acme di un viaggio mentale visionario tra le piante grasse di Palm Desert distorte dalla dietilammide: l'espansa title-track, l'onirica "Freedom", l'allucinogena "Field Of Psylobicin" tinteggiata dal sitar, l'imponente e lisergica "Clearlight", ne rappresentano le fermate obbligatorie. I generi si liquefanno, diventano mere espressioni destinate a etichettare in modo insoddisfacente le abbacinanti atmosfere in acido ben gestite dalla compagine statunitense.
Nondimeno il disco brilla altresì di granate al fuzz e torride progressioni garage: dalla furia sbrecciata di "Come Down", alla rotolante "Watcha Lookin'For" sino all'indolenza tossica di "Antigone" il terzetto convoglia l'urgenza degli MC5 nell'eco valvolare degli amplificatori. L'adiposa saturazione di "Between Time" e "You Mean Nothing" non lascia dubbi circa lo stato euforico di un lotto che tuttavia rallenta oculatamente i giri con il blues di "So Low", pista riproposta live assieme a "To The Center" in due roventi bonus track, e la cover decelerata e viziosa di "I Need Somebody" dei The Stooges, interpretata da un Mark Arm dei Mudhoney in overdose lasciva.
Lucidi e maturi nell'armonizzare in un lavoro coeso stimoli molteplici, i Nebula, nonostante i buoni risultati ottenuti nel corso della carriera, non riusciranno a eguagliare, complici le rivoluzioni nella line-up, i vertici di "To The Center": la magia fumosa di un album irripetibile.