Tokyo Motor Fist
Tokyo Motor Fist

2017, Frontiers Records
AOR/Melodic Hard Rock

Recensione di Simone Muzzoni - Pubblicata in data: 28/02/17

Aria di revival che si respira a pieni polmoni tra il 2016 e questo primo scorcio di 2017, sia che si tratti di nuove uscite di vari gruppi storici del genere (Unruly Child, Magnum, Hardline, FM, Place Vendome), che del debutto discografico di nuove band (o super-band, come in questo caso), formate da ex membri della prima ondata del genere.


In questo caso, i Tokyo Motor Fist non sono altro che il progetto parallelo di Ted Poley e Steve Brown, rispettivamente cantante e primo chitarrista di Danger Danger e Trixter, band protagoniste, seppur di secondo piano, del movimento glam metal/hard rock di fine anni '80.
Nonostante gli sviluppi diversi e le alterne fortune, le storie dei due complessi furono intrecciate fin dall'inizio: oltre che per la vicinanza geografica (New York - New Jersey), anche la pubblicazione dei loro primi album di maggior successo avvenne proprio a cavallo tra gli '80 e i '90, ed entrambi riuscirono solo ad accarezzare appena il grande pubblico, prima di sparire sommersi dal grunge come tante altre band prima e dopo di loro.
Altro fatto non meno importante per la nascita di questa collaborazione, è quello dell'amicizia che fin dall'inizio delle proprie carriere ha sempre legato Poley e Brown, suggellata definitivamente dall'etichetta italiana Frontiers che, dopo aver scritturato recentemente le loro rispettive band di origine, ha anche permesso loro di realizzare il vecchio desiderio di comporre e suonare insieme.

 

Nascono così i Tokyo Motor Fist, il cui nome rimanda probabilmente alla passione di entrambi i musicisti per il Giappone, dove sia i Trixter che i Danger Danger furono protagonisti di vari live show nei primi anni '90, e riscossero anche quel barlume di successo che già gli era negato negli USA (il grunge penetrò più tardi e mai del tutto nel Sol Levante). Già dal nome della band è evidente quindi l'intento di rievocare quel periodo felice ormai dimenticato, di riportare sulla strada quel vecchio sogno chiamato anni '80, desiderio che esplode in tutta la sua armonia già dalla prima traccia del disco.

 

Pronti, via e l'opener "Pickin' Up the Pieces" è già tutta un programma : riffoni ultramelodici e cromati almeno quanto la foto in copertina, linee vocali calde e iper-romantiche: la formula vincente dell'album è già messa sul piatto. Quasi senza soluzione di continuità si passa a 'Love Me Insane", stessa formula della prima ma ritornello più riuscito e parti di chitarra più incisive, mentre le successive"Shameless" e "Black'n'Blue" ripetono ancora lo stesso trend , senza però lasciare il segno, penalizzate dalla scarsa originalità palesata fin qui dal disco.
"Love", prima ballad dell'album, ci riporta direttamente negli anni '80, con i suoi ritmi pacati dall'estremo romanticismo: pur non lasciando indifferenti, non riesce a sottrarsi ad una certa ripetitività che, già dal titolo, lascia un senso di già sentito; chiude però anche la prima parte dell'album in cui il gruppo non riesce a staccarsi da certi clichè del genere, che avrebbero rischiato, se reiterati, di pregiudicare l'intero lavoro.

Giunti a metà disco, fortunatamente i nostri iniziano a sperimentare un po' di più e variare i temi, evitando il rischio di un finale anonimo e fin troppo monocorde . In "You're My Revolution" si sente ancora l'influenza iniziale, e quindi ancora AOR e hard melodico dalle linee ariose e solari, ma è in genere il ritmo più sostenuto a rianimare il pezzo, insieme ad un assolo al fulmicotone nella seconda metà del brano.
Gli ultimi pezzi sanno quasi di omaggio alle grandi band hard rock degli Eighties: pur senza sconfinare mai nel plagio, ci si trova davanti quasi ad un collage di citazioni ed omaggi ai colleghi di maggior fama, amalgamati insieme per dar vita a pezzi originali e dal timbro più decisamente hard rock, che staccano nettamente col trend iniziale.
E' così che "Put Me To Shame" riesce ad unire le accelerazioni improvvise dei Tesla con l'hard rock festaiolo dei Motley Crue; in "Done To Me" siamo invece in territori Bonjoviani, ma a sorpresa nessun richiamo ai brani più noti, bensì ci si scontra con il suo riff roccioso d'apertura che lascia poi spazio all'estrema melodia del ritornello.

 

Verso la chiusura, riprendono quota le ballate, ed anche qui, pur non mancando le classiche melodie struggenti tipiche dell'AOR, siamo di fronte ad esempi più personali del precedente: "Don't Let Me Go" parte con un arpeggio acustico dalle tinte dark, seguito dal ritornello strappalacrime e subito dopo da un assolo penetrante per melodia ed incisività; "Get You Off My Mind" si distingue invece per il suo intro sinfonico e d'atmosfera, che lascia spazio all'ennesimo ritornello riuscito, dalle linee vocali romantiche ed emozionanti.

 

Si chiude con la particolare e rockeggiante "Fallin' Apart", altro pezzo trascinante che si lascia andare a richiami a band quali Def Leppard e Survivor, ma non senza palesare quel personale gusto artistico tipico del duo Poley&Brown che marchia indelebilmente le 11 tracce dell'album.
Il debutto dei Tokyo Motor Fist, in definitiva, è l'ennesimo prodotto gradevole e ben suonato che, in questi ultimi anni, sta riuscendo nell'intento di riportare alla luce un genere che negli anni '90 aveva vissuto un ingiusto ed immeritato tracollo.
Più di mezz'ora di buon rock, da vivere tutto di un fiato, senza la pretesa di ascoltare qualcosa di nuovo ed innovativo, col solo intento di lasciarsi cullare nel mare di ricordi di chi già ha contribuito a scrivere la prima parte della storia dell'AOR, e che a distanza di trent'anni tenta di riprendere da dove aveva lasciato, per proiettarsi ancora una volta verso il futuro.





01. Pickin' Up The Pieces
02. Love Me Insane
03. Shameless
04. Love
05. Black And Blue
06. You're My Revolution
07. Don't Let Me Go
08. Put Me To Shame
09. Done To Me
10. Get You Off My Mind
11. Fallin' Apart

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