Dopo un esordio frizzante, ma non originalissimo, come "Of Curses And Grief", i Torchia proseguono sul sentiero tracciato dai ora defunti Children Of Bodom, quantomeno a livello ideale: pur condividendo con i padri putativi un approccio trasversale al melodic death metal, i giovani finlandesi sembrano ancora distanti da quell'eccentrico miscuglio stilistico che rese gli illustri conterranei spesso bersaglio di critiche spietate e, a volte, tendenziose. Ma è altrettanto vero che il secondo album del quartetto di Tampere resta alquanto lontano dai picchi d'ispirazione e incandescenza raggiunti dalla band di Alexi Laiho in lavori del calibro di "Something Wild" o "Hatebreeder".
"The Coven" possiede il profilo giusto per ammaliare coloro che amano lasciarsi travolgere dall'aggressività mediata dall'indulgenza eufonica, con i refrain incastrati al momento opportuno e una produzione così linda da sfiorare il confezionamento extra-lusso. E se Eetu Hentunen fa tesoro dell'attività vocale con i blackster Kuilu, esibendo un cantato barbaro e incisivo, la chitarra di Ville Riitamaa macina, con discreta autorità, incursioni nel thrash e nell'heavy classico senza snobbare qualche spruzzata di matrice power. Ingredienti, questi, che si amalgamano efficacemente nei pezzi meno elaborati ("Gallows", "Moon, Rise!", "Plague Peasant", "Forever Blood").
La pecca principale del disco consiste in un songwriting a tratti poco equilibrato, in cui il desiderio del colpo a sensazione, conduce il gruppo a oscillare tra la soluzione facile e il tecnicismo fuori luogo; in tal modo i brani restanti appaiono sfilacciati soprattutto durante le transizioni dinamiche e i cambi di tempo, con il risultato che quel groove arrembante caratteristico dei frammenti migliori della tracklist diluisca la propria presenza sin quasi a scomparire.
I Torchia, in "The Coven", restano sulle coordinate del debutto, mostrando un buon pedigree che attualmente, però, fatica a concretizzarsi in una proposta davvero unica. Attendiamo con fiducia i prossimi passi.