Hekate
Totentanz

2018, Prophecy Records
Neofolk

Recensione di Giovanni Ausoni - Pubblicata in data: 14/05/18

"Et In Arcadia Ego"
 
Dal XIII secolo, il sentimento dominante di angoscia e di ribellione di fronte alla morte, tipico di una sensibilità collettiva inquieta e riluttante a riconoscersi nel messaggio edificante della istituzioni ecclesiastiche, preparò il terreno per lo sviluppo di una serie di temi funebri esaltanti la paura e il terrore, fra i quali spicca la Danza Macabra, incline a concepire in tutta la sua drammaticità il destino individuale. Nell'immaginario collettivo il sonno eterno rappresenta ancora oggi la rivincita sulle disuguaglianze sociali e si mostra rivelatore della vanità del potere e della ricchezza: tuttavia essa non riesce ad apparire nelle varie raffigurazioni compiutamente consolatoria, pur svolgendo una specifica funzione pedagogica.
 
 
Gli Hekate dunque non potevano proporre artwork migliore per il nuovo album "Totentanz": in ossequio a un comparto lirico che flirta con il motivo del memento mori, risulta perfettamente adatta la scelta di una litografia di sapore decadente opera di Franz Stassen e gravida di miti religiosi germanici, cristianesimo esoterico e antroposofia. La forza del simbolismo magico di cui era araldo e artifex il pittore di Hanau colpì anche Adolf Hitler: la tecnica grafica che coniugava lo spirito dell'Art Nouveau al realismo fotografico del primo Novecento valse all'artista la commissione di quattro arazzi sul leggendario circolo di Edda destinati alla Cancelleria del Terzo Reich.
 
 
All'attento ascolto del lavoro dell'act di Coblenza si avverte una teoretica speculare alle immagini elaborate dall'illustratore dell'Assia: l'architettura neoclassica della trama sonora alleggerisce le asperità conturbanti del folk apocalittico attraverso la proliferazione di una messe di accenti che si dirigono verso lo struggente e l'escatologico evitando di calcare troppo il piede su atmosfere sinistre e depressive. Un'elegia autunnale modulata da arpeggi di chitarra acustica ed evanescenti sintetizzatori, tra l'enfasi declamatoria dei Death In June e il panteismo cosmico dei Lycia, priva delle spruzzate ambient del precedente "Die Welte Der Dunklen Gärten" e ligia a una solennità ieratica di rassegnazione e malinconica serenità. Il timbro vocale di Axel Menz, prossimo a un registro recitativo di gravezza teutonica, e l'ugola mistica di Susanne Grosche costituiscono una buona percentuale della statura emotiva del disco: alternando un tedesco da parata militare prussiana e un inglese scandito con la densità propria dell'antico alemanno, entrambi i singer si distendono sui delicati strati dei lunghi accordi e sul nobile tappeto degli archi al fine di osservare gli scheletri e gli uomini ondeggiare nel mezzo del fogliame appassito del Purgatorio.
 
 
Se l'opener "The Old King", dalle percussioni marziali in crescendo, mescola umori gotici a lievi aneliti industrial, la dark ballad "Lost And Broken" pullula di effetti elettronici e riverberi wertheriani gestiti dall'intreccio acustico dei cordofoni e dal metronomo bellico della drum machine. In "Mondnacht" la poesia di Joseph Von Eichendorff diviene una sorta di Lied che ordina alla già debole elettricità degli strumenti di tacere per lasciar spazio all'espressione profonda della personalità Romantica: tre strofe per altrettanti piani di percezione declinati sino al momento in cui l'anima dispiega le proprie ali e cinge il paesaggio, risolvendo nell'inscindibile armonia della notte lunare l'antico dualismo opponente cielo e terra. La ritmica orchestrale e sostenuta di "Luzifer Morgenstern" sembra quasi voler creare dubbi ossessionanti nella difficoltà di conciliare ortodossia dogmatica e primordiale lussuria, laddove lo spoken word della cadenzata "Ascension Day" scava nei ricordi ancestrali di un perduto mondo edenico; nel frattempo l'oscura litania della title track disegna scenari poco rassicuranti bilanciati dall'irruenza melodica della successiva "Spring Of Life", medievaleggiante passeggiata primaverile nelle braccia di Enya. Con il mantra tibetano "Embrace The Light" si varca la soglia di uno strano regno oltremondano, mentre il paganesimo etereo di "Desire" e il sibilo tambureggiante di "Am Meere" chiudono un lotto di brani che accosta in maniera coesa eloquenza teatrale e contemplazione attiva.
 
 
L'oscurità di un'opera spesso viene protetta dall'ignoranza delle fonti: in "Totentanz", al contrario, gli Hekate propongono un vasto campionario di riferimenti letterari e iconografici che la musica provvede ad avvolgere all'interno di un florilegio potente ed evocativo. Anche l'ultimo viaggio nasconde deliziose correspondances.




01. The Old King
02. Lost And Broken
03. Mondnacht
04. Luzifer Morgenstern
05. Ascension Day
06. Totentanz
07. Spring Of Life
08. Embrace The Light
09. Desire
10. Am Meere

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