Prendete i brandelli di Grunge che erano rimasti da qualche parte sull’asfalto, buttateli nella sabbia rovente del deserto Stoner, buttate dunque una secchiata d’alcool distillato in vecchie botti di rovere Hard Rock e avrete “Water For Thirsty Dogs”.

La title track ha il retrogusto dei migliori sudafricani Seether, “Astronaut Juggernaut” è un martello pneumatico dove Kyuss incontrano Soundgarden e tentano di armeggiare con qualcosa che sembri Hard Rock, “Lazy” è l’incontro tra l’Alice incatenata ed il Cornell nel deserto in posa da Gesù Cristo, “We’re Only Animals” prende il vocalizzo cobainiano e lo butta in mezzo alla combriccola di Josh Homme, nelle pieghe di “Homeward Bound” potresti giurare di aver visto schegge di Foo Fighters. I Tracer non inventano nulla, ma non è come trovarsi dinanzi una copia di qualcosa che si conosce già; la sensazione è più simile a quella che si percepisce tornando in un luogo familiare, un po’ impolverato ma sempre accogliente, dove le fotografie sono appese in maniera diversa rispetto a come ricordavi, il frigo è vuoto ma lo stereo continua a funzionare bene, esattamente come ricordavi e va bene così, non serve altro.

Il pregio di questi ragazzotti australiani è riuscire ad integrare tutte le loro influenze in un disco assolutamente pregevole, che non ha il sapore indigesto della carta carbone, ma il ben più dissetante gusto di una birra ghiacciata sorseggiata nel caldo torrido della sala prove sbattuta lì, da qualche parte nel deserto, tra il vento caldo e l’orizzonte che disegna un miraggio dai contorni simili a quello dello Space Needle.

“Water For Thirsty Dogs” è una goduria per chi guarda con sospiri di nostalgia quel particolare periodo che si estende tra la fine e l’inizio dei due Millenni. È un gran bell’ascolto anche per chi, semplicemente, ama il rock abrasivo, senza troppi fronzoli ed una birra ghiacciata, il tutto mentre il sole del deserto picchia forte in testa.