Arctic Monkeys
Tranquillity Base Hotel & Casino

2018, Domino Recording Company
Indie rock

So who you gonna call,
the Martini police?
Recensione di Simone Zangarelli - Pubblicata in data: 12/05/18

Era il luglio del 1969 quando la navicella spaziale Apollo decollò dalla Florida con a bordo Neil Armstrong e Buzz Aldrin, i primi uomini a mettere piede sulla Luna, atterrando nel punto prestabilito che gli astronauti avevano soprannominato "Tranquillity Base". Il resto è storia, "un grande passo per l'umanità". A distanza di quasi cinquant'anni, una delle più famose band della scena mondiale ha tratto ispirazione da quel nome per creare il suo sesto album, "Tranquillity Base Hotel & Casino". Si tratta degli Arctic Monkeys, e la storia della musica la stanno scrivendo a colpi di inni rock, fin dagli esordi considerati sinonimo di garanzia di qualità come poche altre nell'ultimo decennio. Non è un caso se il gruppo è stato da sempre premiato dai fan con l'affetto che li ha trasformati, prima, da fenomeno di internet a record di vendite, poi in icone degli anni '00. Con il loro ultimo lavoro, che si prospetta come uno spartiacque, un punto di svolta per la carriera di Alex Turner e compagni, gli Arctic Monkeys hanno plasmato un disco destinato a dividere il pubblico. Se ciò che cercate è il groove scatenato in stile post-punk revival di "Whatever People Say I Am, That's What I'm Not", oppure l'immediatezza dei riff, presenti in tutto il fortunatissimo "AM", rimarrete sicuramente delusi. Piuttosto è sui testi e sulle composizioni che gli Arctic Monkeys pongono l'accento, dimostrando di essere passati ad un livello successivo come musicisti, comunque capaci di sorprendere ma non, come in passato, per la portata del sound, ma per intelligenza e diversità.

 

Alex Turner ha raccontato, a proposito della scelta del tema spaziale, che potrebbe avere a che fare con qualcosa che stava leggendo o film che aveva visto allora. L'idea della fantascienza e dei mondi che sono stati creati al suo interno, è stata usata per fornire un'immagine del mondo in cui viviamo. È la sensazione di smarrimento nello spazio, quella sorta di calma stupefacente e pervasiva, sul calco creato da David Bowie, che viene evocata durante l'ascolto. In effetti il tema dell'astronave e del viaggio è citato a più riprese: "Rocket-ship grease down the cracks of my knuckles", "Kiss me underneath the moon's side boob", "Take it easy for a little while / Come and stay with us, it's such an easy flight". Ma quella dei testi e delle tematiche edoniste non sono le uniche analogie riscontrabili con il Duca Bianco. L'intero disco vede Alex Turner vestirsi dei panni del crooner, a metà strada tra il canto e la recitazione, dotato di quella calma ipnotica che caratterizza i grandi cantanti carismatici. Se a questo si aggiunge il passaggio del frontman dalla chitarra al piano come strumento privilegiato per la composizione, il risultato è un disco dal sapore totalmente diverso rispetto ai lavori precedenti. "La chitarra ha perso la sua capacità di darmi idee" ha dichiarato Turner. Già a partire dall'apertura con "Star Treatment" sembra di aver messo sù un disco smooth jazz: il groove è flemmatico ma trascinante e il riverbero nella voce, molto presente all'interno dell'intero album, riempie le orecchie. "I just wanted to be one of The Strokes / now look at the mess you made me make", suona quasi come un'apologia l'introduzione al disco degli Arctic Monkeys, che così si collocano in una linea di continuità e, al contempo, discontinuità rispetto all'ambiente alternative rock che li ha portati al successo. "One Point Prospective" irrompe con un martellante si bemolle suonato al pianoforte, successivamente l'ottima linea di basso di Nick O' Malley conferisce spessore, per poi esplodere nell'assolo di Jamie Cook. La title track, poi, è il perfetto connubio tra l'attitudine dark del gruppo con la tranquillità quasi ieratica che contraddistingue il nuovo progetto, mentre con "Four Out Of Five" gli Arctic Monkeys trovano il giusto compromesso tra le atmosfere di "Suck It And See" e quelle del progetto parallelo di Turner, i Last Shadow Puppets. La canzone rivela una struttura accattivante ma raffinata, con un buon equilibrio tra le distorsioni e la presenza di sintetizzatori ed arpeggi. "Batphone" esordisce con l'intro più tensiva del disco, come per trascinare l'ascoltatore in un mondo oscuro e glamour. Sembra di rivedere l'immagine della copertina durante l'ascolto, tramite un'operazione sinestetica perfettamente riuscita, mentre il testo rimanda trasversalmente ad una critica sull'iperpresenza della tecnologia nel contemporaneo. L'album culmina con "The Ultracheese" che, senza timore di sbilanciarsi troppo, è sicuramente una delle migliori ballate mai composte dalla band di Sheffield, dove ogni cosa è al posto giusto: dalla dinamica del pianoforte ai fraseggi di chitarra, fino alle ritmiche. Si ha l'impressione che la nuova ricerca stilistica sublimi nella sua massima espressione proprio durante il brano di chiusura.

 

"Tranquillity Base Hotel & Casino" è quanto di più vicino ci si possa aspettare da un disco solista di Alex Turner, se si esclude la colonna sonora per il film Submarine del 2010. Scritto, suonato, cantato e addirittura coprodotto da Turner, la voce degli Arctic Monkeys ha dichiarato che il disco è stato inizialmente pensato proprio per essere pubblicato come progetto solista. Questo non significa però che la presenza di Cook, O' Malley e Helders, che ha giocato parecchio con i sintetizzatori, non sia fondamentale, sebbene la performance di quest'ultimo alle percussioni risulti leggermente sottotono rispetto a quella dei compagni. Al contrario restituisce all'ascoltatore l'idea di un equilibrio nuovo, dove i parametri compositivi spettano per gran parte a Turner, ma la loro concretizzazione al resto della band, che tiene in mano saldamente le redini del disco. Nonostante si possa riscontrare una difficoltà di accesso durante le prime fasi di ascolto, " Tranquillity Base Hotel & Casino" ridisegna quasi completamente l'immagine degli Arctic Monkeys, ormai ad un livello di maturità tale da potersi permettere un disco che appare come una costellazione, dove ogni elemento è bello in sé, ma ancora di più se connesso all'insieme con uno sguardo dalla distanza. Gli Arctic Monkeys sono sulla Luna e da là la vista è magnifica.





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