Devin Townsend Project
Transcendence

2016, HevyDevy Records
Progressive Metal/Symphonic Metal

Recensione di Valerio Cesarini - Pubblicata in data: 24/11/16

Se pensiamo alla scena metal moderna di fatto e di concetti, schivando le sferzate alla bubble-gum dei vari Periphery e compagnia cantante e i gorgoglii di Abasi e compagnia molto meno cantante, un nome appare avere validità al di sopra di tutto e tutti, reverenza e cieca fiducia. Chi è Trasceso è Devin Townsend, già alla ribalta con "Sex & Religion" di Steve Vai, poi leader degli Strapping Young Lad e ad oggi il più poliedrico ed ammirato artista della scena metal.

 

Nel viaggio galattico che è tutta l'opera di Townsend, il nuovo capitolo giustifica i giochi di parole di sopra con l'eloquente titolo Transcendence.

 

E' in verità Transcendence un titolo all'apparenza palesemente votato all'elevazione dei contenuti musicali, dunque ciò che l'ascoltatore moderno si aspetta uscire dallo stereo sono atmosfere sognanti, fra l'epico e l'angelico, voci che si librano nell'aria, echi d'infinito. 

 

Scopriamo subito le carte: tutto questo viene, più o meno, rispettato.
Ma con una costante, anch'essa ben nota all'ascoltatore di cui sopra: si tratterà delle atmosfere, le voci, gli echi tipici di Devin Townsend; in parole povere, lo splendido metal epico e dolce allo stesso tempo, che però è tanto intoccabile quanto ormai notorio. Quel carattere estremamente pieno e saturo delle composizioni sarà pure una parte imprescindibile della cifra artistica di Townsend, ma è innegabile che in un tale oceano di suoni, per quattro, cinque, sei dischi, si perda ciò che c'è di nuovo e originale.

 

Potremmo a questo punto discutere "Transcendence" come un'opera a sè stante, ed allora questo articolo continuerebbe liscio fino alla fine dove diremmo che è un gran bel disco... Ma non si può tagliar fuori dal percorso di un artista ciò che abbiamo già avuto il piacere di ascoltare, che senza scampo già pone aspettative e speranze sull'ultimo sforzo di Hevy Devy.

 

"Transcendence" si apre con la rivisitazione di un brano, "Truth", dall'album del 1998 "Infinity".
Anche se dai primissimi secondi già s'intende il carattere più wet e atmosferico di questo disco rispetto alla controparte di vent'anni fa, il brano non presenta grossissimi cambiamenti, se non un maggior risalto alle voci, grazie anche alla partecipazione della splendida Anneke Von Giersbergen, stabile collaboratrice di Devin, e di Chè Aimee Dorval.

 

Ora, leggendo quanto scritto sopra, una opener del genere potrebbe sembrare l'inizio di un articolo salato. Stupirò forse i miei venticinque lettori dicendo che invece cominciare un disco con un brano vecchio, solo leggermente ritoccato, è un'idea intelligente e lungimirante.
Con questo, infatti, Devin ribadisce la sua completa dedizione e coerenza musicale, e allo stesso tempo stabilisce il mood del disco infilandolo in un brano già noto, come a ribadire che sì, anche diciotto anni dopo "Truth" ha ancora un senso, e probabilmente è vicino agli intenti di "Transcendence".

 

E "Transcendence" esplode dalla seconda traccia, musicalmente legata alla precedente come tipico dell'artista: è infatti con "Stormbending" che fa il suo ingresso la voce nuda e cruda di Devin. Solito inizio roboante e riverberato, mucchi di chitarre e di cori: forse un clichè, forse il modo di presentare ciò che c'è di inedito in "Transcendence"; e grazie a Dio ci vuole poco affinchè il brano cambi mood e introduca un intermezzo più prog.

 

Quest'ultimo aspetto si rivelerà una costante più o meno presente per tutto il divenire dell'album: si possono notare fra le poche novità nelle sempreverdi sonorità di Townsend svariati riferimenti al prog metal più moderno, disparo ma svizzero, già ripreso da band come Haken.

 

Prosegue il singolo "Failure", dove tornano prepotenti le voci femminili e quella di Devin meno processata. Meno wall of sound, melodie più intellegibili, ritornello più tipicamente tale, e un'altra piccola nota di cambiamento: a quanto pare, in Transcendence c'è più spazio per la chitarra solista, più spazio per gruppi di note nutriti e per svisate che necessitano del loro personale spazio sotto le luci della ribalta.

 

A questo punto manca solo una cartuccia da sparare per i fan più esigenti, e cioè il brano uptempo, l'inno moderno, tanto preponderante in "Z²" . E il poliedrico Devin non si fa attendere: con "Secret Sciences" confeziona uno dei pezzi più riusciti in tal senso, dove trovano spazio anche un rigagnolo di shred e l'apporto di Anneke, parziale ma intelligente, perfettamente incastonato.

 

A questo punto si potrebbe proseguire il becero track-by-track, ma la verità è che gli aspetti principali del disco, che si riproporranno, sono più o meno già stati coperti. Certo, abbiamo un po' più di aggressività in "Higher", dove le influenze death e djent la fanno da padrone fino a sfociare in un solo dissonante incastrato fra growl e chug - ma avevamo già parlato di una strizzata d'occhio al metal moderno. Menzione d'onore anche per la titletrack "Transcendence", tipica epica di Townsend, decisamente ben riuscita con la contrapposizione fra cori giganti, piccoli refrain botta-risposta con Anneke, e motivo principale con particolare attenzione verso il titolo, ripetuto svariate volte. 

 

Si prende anche la licenza di chiudere con una cover, "Transdermal Celebration" della band alternative Ween, decisamente "riempita" ed indurita.


In generale deliziare l'ascolto non è mai stata una mancanza di Devin Townsend: guai a dire che il disco possieda momenti più deboli, che non scorra, che non appaghi le orecchie di chi cerca metal ma anche di chi cerca armonie, atmosfere. E Devin ha un modo decisamente personale non solo di comporre, ma anche di intendere ed approcciarsi alla musica; da un certo punto di vista è null'altro che ammirevole: lui è così, mai si forzerà a stravolgersi per piegarsi al mercato - anche perchè, se di mercato si può ancora parlare, nella scena metal è esso a piegarsi a Hevy Devy. Per questo, tutti i cambiamenti, le novità che un nuovo lavoro di Townsend accorpa, sono sempre subordinati alla grande costante che è l'ambiente generale della SUA musica: sì, c'è più spazio alla chitarra, ci sono momenti più progressive, ma si sente lontano un miglio che è un disco di Devin Townsend. Un po' come la contrapposizione fra (lo splendido) Epicloud, eloquentemente "epico", e Ziltoid 2, molto più cinematografico: d'accordo, sono diversi, ma se dobbiamo incasellarli in un genere, quello è sempre lo stesso e probabilmente si chiama "Devin Townsend".

 

Spero dunque che tutte queste premesse comunichino quanto difficile sia dare un giudizio all'ennesimo lavoro di un genio sui generis, tanto versatile ed influente da rendersi perfino soggetto a qualche dubbio di auto-plagio. Comunque, se la musica nasce per compiacere l'uomo, non si può negare che "Transcendence" riesca nell'intento; non si può neanche negare che, per gli standard del Devin Townsend Project (perchè attenzione: il Devin Townsend solista è ciò che di più poliedrico possa esistere), ci siano anche svariate piccole novità. Ultimo, ma non per importanza, è suonato e cantato benissimo, come al solito, includendo fra l'altro tutti i membri del Project nella composizione. E' poi prodotto ancora meglio, da Adam "Nolly" Getgood. Far suonare corposi ma diversificati tutti quei muri di suono, senza neanche aggiungere retaggi della band in cui si milita e per cui si produce (i Periphery), limitando al minimo i sentori di processing e correzione digitale, forse intellegibili solo nella titletrack, è un lavoro che merita decisamente menzione.

 

In finale, un altro disco estremamente valido, da un progetto estremamente valido, che non farà urlare di gioia chi si aspetta necessariamente un'evoluzione netta ed evidente, ma che di certo non potrà deludere chi cerca un ascolto potente e raffinato, ben costruito, ben suonante. In breve?
Un altro disco di Devin Townsend.





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