Tyler Bryant & The Shakedown
Tyler Bryant & The Shakedown

2017, Spinefarm Records
Hard Rock

Recensione di Salvatore Dragone - Pubblicata in data: 06/12/17

Mettete una chitarra in mano di un ragazzino di sei anni e quando ne avrà compiuti undici lo vedrete con una Les Paul comprata con i soldi ottenuti vendendo la moto da cross regalatagli per Natale dai genitori. Forse sarebbe più credibile raccontare di una Playstation al posto di una chitarra elettrica, ma questa è la vera storia di Tyler Bryant.
 

Autentico prodigio della sei corde, tanto da guadagnarsi a soli sedici anni la stima di Clapton, il musicista texano ha tradotto la sua passione per il rock e il blues nei Tyler Bryant & The Shakedown, in cui figurano il batterista Caleb Crosby, il bassista Noah Denney e il chitarrista Graham Whitford (figlio di Brad Whitford degli Aerosmith). La loro gavetta, per usare un eufemismo, non è stata delle più classiche: Guns N'Roses, AC/DC, Deep Purple e ovviamente Aerosmith sono alcuni dei nomi seguiti in giro per il mondo in tour, vetrine importanti in cui si sono fatti apprezzare per l'esplosività in sede live.

 

Il quartetto americano ritorna sulla scena con un album omonimo a distanza di quattro anni dal debutto "Wild Child", riposizionando l'offerta musicale sugli ascolti e le influenze delle produzioni più recenti in ambito rock. Le differenze sono abbastanza evidenti già dall'attacco di "Heartland": il suono decisamente più "cicciotto", i riff gonfi di fuzz e la batteria in primo piano chiamano in causa i Royal Blood, che di tutto questo han fatto una delle chiavi principali del loro (meritato) successo. Con questo disco si alza quindi il tiro e il volume delle canzoni, costruite per arrivare subito al bersaglio. E' quanto avviene puntualmente nel micidiale filotto iniziale: se dell'opener ne abbiamo già parlato, "Don't Mind The Blood" ha tutto quello che serve per essere una hit di successo internazionale, "Jealous Me" ruota su atmosfere più oscure vicine agli Arctic Monkeys, "Backfire" alza un muro di chitarre distorte mentre "Ramblin' Bones" amplia il discorso con una ballad blues. Episodio a sé costituisce "Weak and Weapin'" di taglio palesemente Aerosmith e forse fuori contesto in questo tipo di album. Ancora echi di Alex Turner su "Manipulate Me", qualche accenno di Alice In Chains nel ritornello acido di "Aftershock".

 

La versione più heavy di Tyler Bryant & The Shakedown funziona e sopratutto permette alla band di avvicinarsi ad un genere che oggi gode di grande considerazione mediatica. Nome caldo da tenere sotto controllo nei prossimi mesi, i quattro ragazzi potrebbero regalarci grosse sorprese.





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