Royal Blood
Typhoons

2021, Black Mammoth Records, Warner Records
Alternative Rock

Il duo di Brighton cambia volto senza snaturarsi ed esce dai propri limiti con grande stile
Recensione di Mattia Schiavone - Pubblicata in data: 01/05/21

Pochissime volte nel corso degli ultimi anni abbiamo assistito a un'ascesa così immediata e implacabile come quella dei Royal Blood nel 2014. Il duo di Brighton, con l'omonimo esordio, è riuscito a riscrivere a proprio modo le regole di un modo di fare rock - quello con basso e batteria - che, nonostante gli illustri esempi precedenti, non aveva mai racchiuso così tanta energia selvaggia, tanto che ad un primo ascolto si faceva davvero fatica a immaginare che quelle sferzate fossero davvero prodotte da due soli strumenti. I due si sono confermati anche con il successivo "How Did We Get So Dark?" e, dopo 4 anni, decidono di rivedere le coordinate del proprio sound, senza comunque snaturarsi. Nasce in questo modo il terzo album "Typhoons".

 

Secondo le stesse parole di Mike Kerr, questo lavoro nasce innanzitutto da una presa di coscienza e una redenzione. I testi affrontano quindi le tematiche personali di chi racconta di come è riuscito a ricostruire una vita che stava diventando fin troppo colma di eccessi. Allo stesso modo, anche la componente musicale, pur senza perdere la propria energia, viene leggermente frenata e tenuta sotto controllo, come lava ribollente che, dopo essere letteralmente esplosa dal vulcano, continua la sua corsa in forma di fiume. I ritmi sono più impostati e secchi, i riff di Kerr non prendono l'ascoltatore a calci sui denti e Ben Thatcher non si trasforma in una valanga umana che travolge e percuote le pelli con violenza. Ma non per questo ci troviamo davanti ad un album di minore qualità.

 

Ritmi irresistibili pervadono tutto il disco, fin dall'opener "Trouble's Coming", in cui fanno capolino le tastiere e una componente elettronica di sottofondo, che rimane intatta in quasi tutte le tracce, contribuendo a costruire un sound di fondo orecchiabile e coinvolgente. I suoni acidi e quasi stoner del basso distorto all'inverosimile rimangono il marchio di fabbrica di brani sì diversi, ma comunque sempre riconoscibili ed efficaci. "Oblivion" tende dalla parte più aggressiva del lotto, così come la title track e "Who Needs Friends", benedetta da un riff semplicemente perfetto. Dall'altro lato, profumano di Daft Punk e dancefloor "Million And One", "Hold On" e il fortunato singolo "Limbo", su cui sarà semplicemente impossibile fermare il piede. Eco stoner e allucinate permeano invece "Boilermaker" (non a caso prodotta da Mr Josh Homme), che si posiziona tra gli highlight. A concludere il lavoro arriva la vera e propria sorpresa: "All We Have Is Now" è infatti una dolce ballata al pianoforte, guidata dalla carismatica voce di Kerr, che si dimostra a suo agio anche in territori poco esplorati.

 

Qualcuno parlerà di album di transizione, altri lo definiranno album della svolta, gli aficionados delle sfuriate dell'esordio punteranno il dito. Poco importa tutto ciò, perché con "Typhoons" i Royal Blood trovano la confidenza di uscire dai propri limiti e di farlo con grande stile. Ci troviamo davanti ad un insieme di brani che sarebbero tutti (o comunque poco ci manca) dei singoli efficaci e orecchiabili, scritti e arrangiati senza sbavature e con una produzione invidiabile, proprio ad opera della band. L'unico difetto, se vogliamo trovarne uno, sta in un pattern forse fin troppo collaudato all'interno dell'album, che potrebbe risvegliare qualche sensazione di déjà vu. Probabilmente non è ancora arrivato il momento in cui, come aveva dichiarato Jimmy Page, i due porteranno il rock in nuovo regno. Ma diciamoci la verità, dopo tre album di questo livello, possiamo aspettare tutti con il sorriso sul volto.





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