Tyr
Ragnarok

2006, Napalm Records
Prog Metal

C'erano una volta i Tyr
Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 23/05/14

Scomodiamo per un istante il Maestro Sergio Leone e i suoi due “C’era una volta...”, due grandiose rappresentazioni sul finire di un’epopea storica (il west, il primo) e di una travolgente amicizia (attraverso i cambiamenti storico/politico/criminali degli Stati Uniti, il secondo). Certo, il nostro titolo potrebbe ingannare, i Tyr sono ancora presenti e in forma, ma è altrettanto innegabile che il presente “Ragnarok” chiuda definitivamente una stagione incredibile per la band delle Isole Faroe, un capitolo celebrato in tutta la sua epicità, dopo il quale le cose non sarebbero più state le stesse.

Dopo il sorprendente debutto “How Far to Asgaard”, il classico diamante “grezzo” e il capolavoro “Eric the Red”, i nostri non solo si spingono oltre cambiando (o meglio arricchendo) il proprio impianto sonoro, ma costringono il classico fruitore della musica dei faroesi a cambiare sensibilità durante l’ascolto. “Ragnarok” infatti riesce a combinare in modo impeccabile il classico stile epic/viking con una forte matrice prog, preponderante in un’ottica distaccata del disco, ma che non mette affatto in secondo piano tutto il repertorio di epicità e drammaticità che una band con un pedigree come i Tyr deve mostrare a ogni tornata.

La bravura del quartetto sta appunto nell’aver raggiunto un grande equilibrio tra le parti, in cui tutto svolge una funzione ben precisa. Un album che fa leva essenzialmente su una preparazione tecnica di rilievo che non rinuncia ad emozionare, tanto strutturato da avere due possibili chiavi di lettura: un grandissimo disco nel pieno della tradizione epic/viking con il valore aggiunto di un’ossatura musicale raffinatissima, oppure una base strumentale già di grande valore permeata da una sensibilità così pronunciata da donargli quel calore che altrimenti sarebbe mancato. Qualunque sia la vostra lettura di partenza, vi troverete alle prese con un disco non facilissimo al primo approccio, in cui le composizioni giocano più sulla ricchezza del songwriting piuttosto che sul ritmo, avendo come unico elemento a spiccare immediatamente all’orecchio la voce del frontman Heri Joensen, geneticamente evocativa, vero legante tra le parti.

Un concept sulla battaglia (Ragnarok appunto) tra le potenze della luce e delle tenebre, un classico della mitologia norrena, secondo cui il mondo viene prima distrutto e poi rigenerato, esposto con passione dai Tyr, tra solennità, raccoglimento e fervore, con una struttura ciclica (vedi le strumentali simili “The Beginning”/”The End”) a decretare la fine delle ostilità e la rinascita. Un’ora di musica che completa un trittico spettacolare per i Tyr, da allora in poi mai più così convincenti (troppo debole il seguito “Land”) e protagonisti di un cambiamento stilistico, votato al power/heavy in chiave nordica, più semplice da realizzare, da ascoltare e sicuramente più “redditizio” ai fini di una carriera che ha deciso di rivolgersi a un pubblico dalle orecchie meno pazienti. Non staremo qui a biasimarli eccessivamente, almeno i Tyr ce lo hanno regalato un disco come “Ragnarok”, quale altre formazioni possono dire di aver fatto la stessa cosa?



01.The Beginning

02.The Hammer of Thor

03.Envy

04.Brother's Bane

05.The Burning

06.The Ride To Hel

07.Torsteins Kvæði

08.Grímur á Miðalnesi

09.Wings of Time

10.The Rage of the Skullgaffer

11.The Hunt

12.Victory

13.Lord of Lies

14.Gjallarhornið

15.Ragnarok

16.The End

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