"Songs Of Experience" è la nuova creatura di Bono e soci, un disco di cui in realtà si è iniziato a parlare già da diverso tempo, avendo avuto una gestazione piuttosto travagliata e sofferta. Inizialmente il seguito di "Songs Of Innocence" era previsto molto prima dei tre anni intercorsi tra i due capitoli, così il carismatico leader 57enne ha provato a spiegarne le ragioni parlando di un motivo politico e di uno personale. Facile intuire il primo: dall'elezione di Trump, passando per la Brexit e il risveglio dei nazionalismi in Europa, ecco sorgere un quadro inquietante per chi ha sempre avuto a cuore le dinamiche di stati e governi. Rimane un velo di mistero sull'altro, tutto quello che sappiamo è che l'anno scorso il cantante è stato costretto a guardare negli occhi la morte senza, fortunatamente, finirle tra le braccia. Ne fa lui stesso preciso riferimento in "Lights of Home", tra i brani più belli in assoluto, quando afferma "non dovrei essere qui perché dovrei essere morto".
Queste esperienze si sono inevitabilmente riversate nel processo creativo, spingendo il quartetto a rivedere gran parte dei loro piani in studio di registrazione e a trovare il senso del tempo in cui viviamo. Per Bono in particolare scoprirsi fragile ha significato fare di ogni canzone una lettera d'amore indirizzata ai suoi affetti - "You Are the Best Thing About Me" per la compagna di sempre Alison, "Get Out of Your Own Way" e "Love Is Bigger Than Anything in Its Way" ai figli - senza però dimenticarsi delle vittime della la crisi politica internazionale in "Red Flag Day".
Diciamolo chiaramente: "Songs Of Experience" è un album interessante, certo non al pari dei capolavori del passato, ma diffidare da chi lo ha frettolosamente bollato come un prova opaca e di poca sostanza. Con una nutrita scuderia di produttori alle spalle (Jacknife Lee e Ryan Tedder con Steve Lillywhite, Andy Barlow e Jolyon Thomas), gli U2 dimostrano di saper ancora come scrivere belle canzoni senza risultare nostalgici, reinventando per l'ennesima volta il proprio sound sulla scia degli ultimi trend. L'intro "Love Is All We Have Left" ne è forse l'esempio più esplicativo, solo la bonus "Book Of Your Heart" riesce a spingersi ancora più in là toccando addirittura sponde elettroniche. Sopratutto il lavoro in regia di Barlow, portandosi dietro il bagaglio dei suoi Lamb, fa la differenza nei dettagli e nella costruzione di un quadro sonoro dove ogni minima sfumatura svolge la sua funzione necessaria. C'è tanta aria in queste tredici canzoni, spogliate di tutti gli inutili orpelli e arrangiate con un'eleganza che di semplice ha solo l'apparenza. Ne vengono fuori piccoli gioielli come "Summer of Love", guidata da un bellissimo giro di chitarra di The Edge. L'anima rock della band rimane sottotraccia a lungo per poi riaffiorare prepotentemente su "American Soul", in cui troviamo come ospite il rapper Kendrick Lamar, e "The Blackout", tra i primi singoli a circolare in rete.
Se proprio bisogna trovargli una colpa, quella di "Songs Of Experience" è di essere un album degli U2, con le aspettative elevatissime che ne derivano. Eppure basterebbe concedere il tempo a queste canzoni di crescere, di farsi apprezzare con il dovuto tempo. Quello che poi, in fondo, serve per riconoscere il valore delle proprie esperienze.