U2
The Joshua Tree

1987, Island Records
Rock

Recensione di Francesco De Sandre - Pubblicata in data: 13/09/14

"I have run
I have crawled
I have scaled these city walls
These city walls".

 

I primi quindici minuti.


Ci sono luoghi in cui le strade non hanno un nome ed è facile fuggire da se stessi, con se stessi.

 

Ci sono nuvole in cielo che non hanno forma o colore.

 

Ci sono speranze troppo forti da eludere e verità troppo oscure da accettare.

 

Ci sono cose semplici che non apprezzeremo mai, e ci sono cose superflue che ci posseggono.

 

Ci sono fiamme così alte e roventi che aspettano solo di essere trapassate.

 

Ci sono colpi che aiutano a crescere.

 

Ci sono viaggi lunghi e tortuosi da pianificare in compagnia e da affrontare da soli con il sole in faccia e la borraccia vuota.

 

Ci sono persone pericolose e uomini saggi che una volta erano persone pericolose.

 

Ci sono tempeste di cui è bello essere il fulcro.

 

Ci sono nodi che non si scioglieranno nemmeno a colpi d'ascia.

 

Ci sono 4 accordi attorno a cui gira tutto il nostro mondo.


"And you give yourself away".


Gli ultimi trentacinque minuti.


"I have scaled these city walls", si diceva. Tutto ciò che era insito nelle produzioni musicali degli U2 ed aspettava il momento giusto per emergere è radicato, anche stavolta, dove le strade non hanno nome. Anzi, precisamente dove non ci sono proprio strade. Sono i deserti americani dove soffiava, e forse soffia ancora, il vento del Folk contro le dune del Blues. Il fatto che Bono e compagni abbiano inserito così tanto materiale retrodatato e volto agli anni ‘50 in un disco introdotto da tre perle della storia del Pop Rock fa intendere due aspetti contrastanti, due cardini opposti delle pretese di "The Joshua Tree". Quella che passò per sperimentazione o omaggio alle origini della musica americana è in realtà la fine degli U2, paghi ormai della loro ascesa e ineguagliabile popolarità. Questa sperimentazione, seppur discutibile, costituisce però il nuovo ambiente sonoro degli U2, che staccano definitivamente i legami con la loro Irlanda in cerca di rinnovate speranze nel nuovo continente. "Bullet the Blue Sky", con quel colpo di rullante fastidioso ed asimmetrico, diventa quindi, sfacciatamente e improvvisamente, il muro generazionale tra i nuovi ed i vecchi U2, recentemente oggetto di demolizione e profanazione alla ricerca di una nuova - ma introvabile - identità.


Yucca Brevifolia.


"Where the Streets Have No Name", "I Still Haven't Found What I'm Looking For", "With or Without You". Religiosi, caldi, intriganti, rispettosi, basici e maestosamente espressivi. Era il 1987. Erano i delicati riff di The Edge che si guadagnavano un posto nella storia, accanto a Bono e al suo protagonismo sorridente. Serviva davvero altro, dopo cinque album in sette anni? Dopo sette anni in cinque album? Ed ecco che tutto ciò che ne è seguito fa riflettere sulla vera essenza, sui veri valori che hanno proiettato gli U2 fino ai giorni nostri, attraverso opere di cui non si discute la qualità o la dimensione, ma implicitamente il vero scopo, la vera motivazione. "Where the Streets Have No Name", "I Still Haven't Found What I'm Looking For", "With or Without You": la verità, alla fine, fa male.





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