L'immagine stereotipata dell'adolescente yankee che sfoga la propria rabbia acerba all'interno della sua stanza caotica e tappezzata di poster di varia natura salta subito alla mente quando partono le prime note di un LP dei Lionheart. E "Valley Of Death", nuovo e stringato lavoro in studio dei californiani, non fa eccezione, posizionandosi sulle medesime coordinate di "Welcome To The West Coast II", album oltretutto baciato da un ottimo successo commerciale. 

La formula resta invariata ormai da anni, con Hatebreed, Madball e Rage Against The Machine a svolgere la funzione di numi tutelari del combo; se, dunque, l'hardcore cosparso di metal dei nostri sembra non conoscere ulteriori vie di progresso, lo stesso può dirsi dei testi, incentrati, as usual, sui fantasmi interiori del frontman Rob Watson. 

Ansia, depressione, traumi infantili: bisogna ammettere che il canovaccio viene interpretato con la dovuta brutalità, tra densi groove ritmici, strofe in rapping à la Zak de la Rocha e ponderosi breakdown. In un lotto pressoché uniforme, spiccano una title track dal sapore nu, l'autodistruttiva "Burn", i riverberi funky di "Born Feet First"; "Rock Bottom" e "Before I Wake" si segnalano per la partecipazione, rispettivamente, di Jess Barnett e Mr. Jet Black, mentre "When I Get Out" rappresenta il massimo trionfo delle chitarre ribassate. Per il resto ordinaria amministrazione, certo di buona fattura, ma abbondantemente esperita in vecchi lavori.

"Valley Of Death" restituisce dei Lionheart sicuri di sé e senza troppi peli sulla lingua: una volta inserito il disco, però, scaturisce pian piano la sensazione di averlo già ascoltato in altre occasioni. Ridotto il valore intrinseco, permane la piacevole routine.