Un paio di cose è sacrosanto riconoscergliele. Vengono da New York, suonano indie rock, ma riescono a farlo evitando di citare due concitaddini imprescindibili come Television e The Strokes, e questa è una cosa. L'altra è che i Vampire Weekend hanno compreso in un modo perfetto lo spirito dei tempi suonando ciò chedesidera il mondo chic-snob dell'indie rock, ma in modo molto più personale di tante altre band dell'indiettume comtemporaneo (vedi Bastille).
La carta vincente in un modo o nell'altro è sempre il vintage, sebbene le ispirazioni provengano da molto più lontano della ormai "old wave", ma si attinge dalla sorgente di fine anni '50 (ci potrete sentire del Cochran, del Gene Vincent del Buddy Holly). La freschezza con cui suonano una "Diane Young" ha molto dello spirito fifties, ma nel complesso le canzoni non sono affatto derivative: il tutto viene eseguito con gli accorgimenti più curiosi, saltellanti, eccentrici, evitando con molta cura di affidare alle chitarre il ruolo di protagonista. L'aspetto che dal punto di vista tecnico dà il gusto personale a questo album è l'accento particolare delle ritmiche, spesso accompagnate da strumentazioni inusuali nel rock, a scapito di quelle tradizionali (da sempre incentrate sulla chitarra). "Modern Vampires Of The City" suona un po' meno eccentrico a tutti i costi, meno lezioso nella ricerca e più maturo ed eterogeneo; ma a conti fatti dimostra che badando alla radice dei pezzi la band perde molto dell'appeal che aveva nel primo album. Ed è a questo punto che è bene moderare gli entusiasmi: al netto degli eccentrici arrangiamenti che rendono lo stile dei Vampire Weekend così frizzante e terribilmente retrò-chic rimane troppo poco per scommetere che album come questo rimarranno granché interessanti nel tempo. Il paragone fatto da qualcuno fra "Modern Vampires Of The City" e "Sgt. Pepper" (dovuto alla comune ricerca d'arrangiamento, unita al mood allegro e positivo) è un confronto privo del minimo senso della proporzione.
Dell'ultimo lavoro dei newyorkesi si riconosce certo la consueta capacità di architettare di volta in volta la combinazione sonora più gustosa e in linea con il gusto hipsterico, talvolta sapendolo stuzzicare con suggestioni tutte nuove. Ciononostante il senso di questo album esiste soprattutto in relazione a quella superficie, a quella crosta succulenta che però contiene molto meno di quello che sembra.