Versailles
1976-1991

2013, Autoproduzione
Garage rock

Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 01/04/13

Non fa a tempo a sciogliersi una formazione con questo altisonante moniker - parliamo del prog symphonic combo nipponico guidato dal geniale Hizaki - che subito arriva qualcuno a raccoglierne l’imponente eredità. Dunque: la press note in nostro possesso ci dice che “sono wave quanto basta”, noi diciamo che non sono wave per niente; e per fortuna, considerata la “lieve” ed “impercettibile” saturazione del mercato. Parliamo dei Versailles, formazione nata dall’incontro tra due musicisti militanti altrove quali Damiano (tra i tanti, Maria Antonietta) e Manu (tra i tanti, Scanners) al lavoro su un garage rock in lo-fi sparato su ruvide creste alternative.

In realtà, magari quel pizzico di malizia wave c’è nell’immaginario della band e nel titolo di un’opera, “1976-1991”, che sembra indicare la nascita e la morte del genere – perlomeno nella sua forma più pura. Ma bastano le note di chitarra dell’iniziale “Uh! Uh! Ah!” per essere catapultati in un mondo rock assai poco oscuro e maggiormente incline ad atmosfere molto USA (“Intro”), oppure su cantilene distorte che fanno molto scazzo punk pop from the ‘90s (“HVS”, “Mare Nero”).

Più The Hives che White Stripes – per manifesta mancanza di nervo soul e derive tanto schizoidi quanto geniali in fase di composizione – i Versailles confezionano il classico disco di mestiere di cui non si può per nulla parlare male, ma di cui non si riesce nemmeno a dire troppo bene. Gli estimatori del genere devono assolutamente concedere l’interesse necessario a capire se l’invito a corte dei Nostri è di quelli a cui rispondere con entusiasmo, magari portando con sé alla festa qualche amico.




01. Uh! Uh! Ah!
02. Rollin’ 
03. HVS
04. Ma Dov’è La Severità? 
05. 2Night
06. Sweetie Queers
07. Intro 
08. Mare Nero
09. Back In the ‘60

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