Anzitutto, l'hard rock. Quasi assente dal precedente lavoro, qui si avverte un po' ovunque, dalle linee di chitarra, al timbro del cantato, fino alle scelte di missaggio nei refrain. L'opener "Say It Like You See It", che è anche video singolo di lancio dell'album, seduce le orecchie con un ritornello già memorizzato al secondo ascolto e che al terzo cantiamo. L'andamento ritmico sincopato delle strofe richiama certe soluzioni dei System Of A Down, ma sul ponte di chitarra e sul trascinante riff che fa da tappeto al solo ci sembra quasi di esssere dalle parti dei Propagandhi (versione 2.0: da "Through The Ashes Of Empire" in poi). Questo è il side A della band. Il side B arriva con la successiva "Bad Girl" che stupisce prendendo le mosse da un complicato arabesco armonico e ritmico su cui aleggiano gli Ozric Tentacles, condotto dal basso nella strofa, a cui si intreccia la chitarra e apre in rallentato - punteggiato di affondi aggressivi - nel refrain: qui siamo in territori prog metal e la chitarra apre il suo ventaglio, alternando distorto, riverberi, tremolo nello sviluppo, con percussioni in sottofondo. Ed eccoci serviti: "Petrichor" prosegue su toni intimisti i sofisticati arrangiamenti di "Bad Girl", ma riecco balenare l'hard rock nel refrain, nello sviluppo e in quell'eco sulla voce, così Eighties... la band sa giocare con le proprie influenze.
Apparsa fugacemente nel primo brano, torna la chitarra acustica in "Mother Funk" che nella strofa si fa portante, in pas doble con la ritmica di basso; sottofondo di cori nel refrain. Ah, è bene sciogliere un possibile equivoco: nulla a che vedere col Funk o il Funk metal, ma piuttosto con l'inquietante ("funky") Divina Madre, icona con quattro occhi che campeggia sulla cover. Più che il funk pare giusto evocare qui un nome del panorama alternative che ha molti punti di contatto con gli ISOS: i Circa Survive. "Elevation" ha la forma di una ballad prog affidata all'espressività del cantato di Adam Leader; là dove il pezzo si fa più aggressivo è sempre merito dei fraseggi di chitarra che, senza mai evadere troppe da scale pentatoniche e cantabili, le sa declinare in modi e timbri diversi fuggendo lo spettro della monotonia. "In The Garden" insegue invece soluzioni decisamente HR, il lato A di cui sopra, come nel seducente ritornello che sembra lì apposta per farsi sillabare sotto palco battendo le mani. "Little Wolf" è l'inquietante intro della successiva "Never" da cui, forse, a questo punto dell'album ci aspettavamo qualcosa di diverso. Siamo nuovamente sull'andante ma la fantasia del cantato e la malinconica armonia delle chitarre sembrano a corto di soluzioni, sembra che l'album torni su sé stesso e si sbadiglia un po'.
Ci riscuotono i colpi di chitarra distorta con cui il brano sfuma in fade out. Per fortuna arriva "Mega Piranha" a far correre più rapido il sangue nelle vene col suo bel riffing, il piglio graffiante del cantato e un approccio in generale più energico che forse avremmo voluto sentire di più in tutto il lavoro. Notevole anche la successiva "Illusions" in cui i due lati della band, energia e tecnica, si sposano davvero bene: forse il brano più riuscito del lavoro. Anche "Mon Amour", brano di commiato, ci soprende con uno sviluppo space rock in un crescendo parossistico al rumore bianco. In definitiva un album con episodi estremamente convincenti e altri meno, ci restituisce l'immagine di una band ancora alla ricerca di uno stile davvero "suo", che ha avuto il coraggio di mettere molti ingredienti diversi a bollire in pentola e che in futuro potrebbe sfornare pozioni magiche degne di Panoramix. A buon intenditor...