Ah, poveri noi! Il panorama del “female fronted” è ormai diventato un altare intoccabile; andate a dare una rapida occhiata ai difensori, agli avvocati, ai procuratori ed ai “maestri di musica” che affollano i vari forum (giusto per curiosità!), vi accorgerete che queste cantanti munite di corsetti (che in alcuni casi verrebbero visionati con molta accuratezza anche dai recensori!) riescono ad “entrare nei cuori” di molte persone... Per la bellezza? Per le foto promozionali? Per i meriti o per i pregi, forse? No. Si tratta, piuttosto, di un vero e proprio caso “me(tal)diatico” ed è ormai noto a tutti che persone di dubbio gusto e dubbia musicalità si spertichino in paragoni, inscenando addirittura vere e proprie “lotte” tra le artiste in questione. Viene da chiedersi a quale scopo. A quanto pare, l’interesse è quello di dimostrare la conoscenza di una certa vocalità (il nome “soprano” viene quindi accostato a vari aggettivi, spesso accompagnato da argomentazioni esaustivissime come “mezza ottava in più o in meno”), attribuendola alle proprie beniamine per poi lanciarla come un sassolino nella fionda. Opinioni che nessuno dovrà mai contraddire, ovviamente. Ma se il background che ci accoglie al momento di scrivere questa recensione non è affatto rassicurante, non dimentichiamoci che siamo qui per parlare del ritorno degli austriaci Visions Of Atlantis, che dopo il non proprio entusiasmante “Delta” e il passo falso dell’EP “Maria Magdalena” tornano con un nuovo album, tale “Ethera”.
Certo è che se dovesse mai scattare l’amore con questo album, non succederà grazie all’accozzaglia di elementi raffigurati nell’artwork e nemmeno grazie alle foto in cui la cantante Maxi Nill riesce a toccare territori ancora inesplorati nel sopracitato “female fronted”, come il mondo dei supereroi (l'associazione con Tempesta degli X-Men è piuttosto immediata). Che c’è da dire che, a discapito di un comparto iconografico quanto meno discutibile, negli undici brani in scaletta si nota un minuscolo miglioramento a livello di songwritting. Abbiamo giri di chitarra che talvolta centrano il bersaglio e riescono a non risultare del tutto prevedibili (“Machinage”), abbiamo anche due voci, quelle di Maxi e Mario, che recitano la propria parte senza scossoni improvvisi (se Maxi sembra esplorare maggiormente il suo spettro vocale, non si può dire lo stesso del collega). Come da copione, le orchestrazioni oniriche e fantasiose di “Avatara” trasudano epicità pura; il problema, in questo caso, è il cantato iniziale di Mario che sembra seguire fin troppo le orme di un certo Jorn Lande. E quelle che ci vengono presentate come “toccanti e sognanti ballad” non sono altro che un mix già trito e ritrito (e saltato in padella con tanto di cipolla) di atmosfere e spartiti di piano già sentiti un miliardo di volte. Con una band che di nome fa Vision Of Atlantis ci si aspetterebbe infine qualche rimando alla leggenda della città sprofondata (viste anche le origini greche di Maxi!), invece no, i Nostri seguono un discorso mitologico un po’ incoerente anche a partire dal già massacrato artwork, che immortala una rivisitazione (?) della figura di Medusa.
I Visions Of Atlantis presentano un album formulato e impostato essenzialmente male fin dall’inizio, tant'è che i momenti salvabili sono veramente pochi. Ci sentiamo di dare un umile consiglio alla band: una copertina può essere anche in tinta unita, l'importante è che rappresenti bene l'anima e il mood del disco. Un album, in fin dei conti, è come uno di quei disegni che bisogna ricreare unendo i puntini. Ma se i puntini sono messi giù alla rinfusa, come in questo caso, otterremo mai un bel disegno?