Uccidere un classico. Quante possono essere le sfaccettature di un assassinio musicale, quanto stravolta, smembrata, depauperata può essere un'opera musicale per poterne decretare la morte, e al contempo l'innalzamento della carogna a nuova musica viva?
Vito Ranucci, compositore partenopeo, scava in questi meandri partorendo "Killing The Classics", un prodotto in bilico fra l'onirismo del sonno eterno e visioni quantomai vivide. Il concetto primo è utilizzare la musica classica come base per il "viaggio": le melodie e le armonie vengono mescolate e rielaborate, talmente scorticate da rimanere il sottofondo delle atmosfere sognanti e inquietanti che con prepotenza guidano tutto l'ascolto. Il carattere musicale del prodotto finito è dunque un omogeneo melting pot elettronico, decisamente atmosferico e con una forte preponderanza verso il trip-hop; svariate sono inoltre le fasi techno, elettroniche, ambient o etniche. L'arrangiamento dell'opera in toto, che comunque si confà di 13 brani differenti, è basato su una certa sacralità conferita al classicismo; nonostante inoltre l'amosfera molto soffusa e i suoni in prevalenza elettronici, ci sono strumentisti di tutto rispetto a condire il tutto (vedi Mimmo Langella alla chitarra).
La voce (e i testi) di Federica Mazzocchi sono l' "elemento in più": il carattere praticamente sempre presente che contribuisce al feel trip e tribale dei pezzi -più non è importante la nota intonata o una progressione intellegibile; respiri, rantoli, cantati accennati la fanno da padrone, e il testo dell'aria originale è ripreso solo nella track 10, "La Vita", basato (in questo caso in maniera ampiamente coglibile) su "E Lucevan Le Stelle" della Tosca di Puccini.
Le parentesi sono presto spiegate: talvolta la "morte" del classico è così drastica da lasciare veramente poco spazio al carattere primigenio dello stesso, affogato fra synth, drum machines e vocoder; e allora ecco la dichiarazione a Mozart nella opening track "Amadeus" (Sinfonia N.40 in Sol minore), probabilmente la canzone più "movimentata" del disco con diversi tocchi di EDM: un pezzo intelligente, in contrasto col carattere principale dell'album, decisamente più pacato ed onirico, ma efficace anche in un'ottica commerciale. Il sentore più brioso va lentamente a scemare col proseguire della tracklist: più anni '90 la successiva "Night To Love" (Vivaldi) così come la minimalistica "La Dance" (fra le più riuscite dell'album secondo chi scrive); prime dissonanze a seguire con "Tempus Fugit" e finalmente siamo immersi nel regno di Vito Ranucci. Data la caratteristica fortemente ambientale di tutto l'album, il contrasto principale è fra visione e oscurità: principalmente rimarremo allucinati o impauriti; particolarmente evocative risultano dunque "Innocence", incredibilmente sognante (e tribale), la già menzionata "La Vita", e la track di chiusura "Cantio Vernalis" (Carmina Burana). La forza principale del disco è, come comprensibile, l'atmosfera e la capacità di trasportare l'ascoltatore: non c'è un brano, in questo senso, sbagliato o poco efficace -le citazioni e le spolverate a velo dei brani classici costituiscono null'altro che un gradito regalino per chi sa coglierle, nonchè uno spunto compositivo molto importante per l'autore.