Con "Múspell" vengono aperte le danze a partire dal regno del fuoco, con una traccia corrosiva le cui coordinate stilistiche sono un sunto di tutto il platter. I giochi di accento nella ritmica centrale contribuiscono alla buona riuscita del brano, che trova la sua forza principale nel tema sostenuto da voci di stampo ulveriano. Se non fosse per i cori folk, anche "Niflheimur", la traccia del regno del ghiaccio, avrebbe di sicuro meno mordente: in ogni caso essa non rende giustizia a quello che dovrebbe rappresentare un mondo freddo ed impietoso a causa della sua scarsa caratterizzazione.
Non a caso scelto come singolo di lancio invece, "Niðavellir", pezzo sul mondo dei nani, risulta ben costruito ma orecchiabile e trascinante, con quel mood alla Korpiklaani che pregna il tutto di un'aurea antica, tipica di epoche intangibilmente remote in cui procurarsi l'oro voleva dire rischiare la vita. Andando avanti con la tracklist, una melodia epica ma baldanzosa è l'ossatura di una traccia catchy ma che mantiene una certa ruvidità di fondo: i canti del mondo degli umani, "Miðgarður", richiamano le antiche tradizioni andate perdute ma riportate in auge proprio dagli esuli norvegesi che popolarono la terra del ghiaccio.
"Útgarður" - il mondo dei giganti - non poteva che offrire sonorità marziali, in cui il rimbombo dei tom evoca alla perfezione la stazza dei colossi. La pesantezza dei loro passi è invece assicurata da riff cromatici e accordi massicci che sorreggono le saltuarie melodie in modo scandito. Gli elfi che abitano "Álfheimur" non possono che richiamare bellezza ed epicità, supportati da un incidere fiero e luminoso. Il brano è intessuto di diverse melodie create ripetendo lo stesso tema portante con alcune variazioni. I cori assumono qui una dimensione da world music/neo-folk, anche se supportati da un cantato ruvido.
Gli Asi e il loro regno ("Ásgarður") vengono introdotti da una melodia maestosa che invita a danzare in onore delle nuove divinità grazie anche a un lungo assolo centrale che è un perfetto compendio all'intento lirico del pezzo. "Helheimur", il regno dell'oltretomba, vede un thrash metal grezzo farla da padrone, nel quale la melodia viene relegata solo alla fine, ben contraddistinguendo il regno più oscuro del lotto. La conclusiva "Vanaheimur" è dedicata invece al mondo dei Vani, le divinità legate maggiormente agli elementi naturali. Questi ultimi non hanno bisogno di personificazioni, e vivono dentro l'universo muovendone al tempo stesso le gesta, decantante con strofe e orchestrazioni pesantemente ancorate alle lande in cui gli uomini erano legati imprescindibilmente alla terra.
La nuova fatica degli Skálmöld mette la band in una luce più che favorevole, grazie a questo lavoro che è stato ben pensato anche grazie alla facilità con cui la numerologia mitologica ha fornito un numero di capitoli adatto al formato album. Ci sarebbe piaciuto sapere più sullo sviluppo dei contenuti lirici, nonostante le fonti in casi come questo siano sempre le stesse. In aggiunta, visto il concept e la diversità a cui si presta ci sarebbe piaciuto vedere maggiore coraggio negli arrangiamenti, che invece risultano identici per tutta la durata del disco, non differenziando in alcun modo il suono singolo dei vari capitoli. In ogni caso, siamo di fronte a un buona prova del combo proveniente dalla baia del fumo.