A tre anni di distanza da “Fluke?”, i londinesi Voodoo Six tornano sotto le luci della ribalta forti di un contratto da poco siglato con la Universal e con il nuovo full-length, intitolato “Songs To Invade Countries To”e rilasciato lo scorso 27 Maggio. Anticipato e accompagnato da un tour come supporter dei leggendari connazionali Iron Maiden nel loro ultimo tour europeo –per altro ancora in corso e che ha visto le band esibirsi anche in Italia, l’8 Giugno scorso a Milano – questo nuovo album è un concentrato di riff potenti e arrangiamenti ben studiati, non completamente innovativi ma nel complesso godibili, in equilibrio tra passato e presente.
Il fatto che la band sia stata tenuta d’occhio e voluta in tour dai Maiden e il titolo evocativo della release (in italiano, “Canzoni su cui invadere paesi”, nda) fanno pensare a sonorità appunto di stampo Maideniano o sul genere dei Saxon degli esordi. In realtà, gli accenni all’heavy metal degli anni ’70 e ’80 sono davvero pochi; i Voodoo Six non temporeggiano e vanno subito al sodo con la opener “Falling Knives” e la successiva “All That Glitters”, tra riff dal ritmo serrato e assoli ben studiati e collocati al punto giusto, prima di scivolare nella semi-ballad “Lead Me On”. Con il primo singolo “Sink Or Swim” torna l’aggressività delle chitarre, in un martellante duetto con la batteria, ma è verso la metà del platter che cominciano le note dolenti. La voce del cantante Luke Purdie è a tratti ruvida, a tratti più morbida, ben gestita. Ma, va detto, si tratta di un timbro non particolarmente singolare. Al contrario: viene quasi spontaneo il paragone con Chad Kroger, singer e frontman dei canadesi Nickelback ed è inutile negare che la somiglianza fa perdere di interesse l’intera proposta musicale del quintetto inglese, ben strutturata e suonata, certo, ma troppo simile ai citati Nickelback e ad altre band di quel genere. Non mancano i momenti in cui la vera personalità dei Voodoo Six fa capolino, come la già citata “Sink Or Swim” o “Your Way”, uno dei brani di punta di tutta la tracklist, in cui le vocals si fanno più intense e il ritmo della batteria, unito alle chitarre, ci regala un crescendo energico nel finale, o “Higher Ground” con il ritmo accattivante e un po’ ruffiano, ma nel complesso, l’album risulta un po’ troppo monotono.
Pur essendo ben scritto e ben strutturato, la sensazione è che a questo disco manchi qualcosa, quella scintilla in più tale da farlo emergere al di sopra dei tanti, tanti dischi dal sound molto simile; un peccato, perché il potenziale c’è e potrebbero esserci molte “Your Way” in questo album, che lascia un pochino l’amaro in bocca.