Pantera
Vulgar Display Of Power

1992, ATCO
Groove Metal

Il disco manifesto dei Pantera, tra pause, accelerazioni e rabbia senza freni
Recensione di Giovanni Ausoni - Pubblicata in data: 26/07/17

"Cowboys From Hell" nel 1990 aveva rappresentato per i Pantera una netta virata verso il thrash metal dopo un inizio di carriera incerto e all'insegna di un'improbabile e pacchiana proposta di sapore glam. Nel 1992 il quartetto torna ai Pantego Sound Studios con il fidato Terry Date in cabina di regia. La fiducia geminata grazie al successo di critica e pubblico ottenuto con il lavoro precedente, l'esperienza on stage attraverso la partecipazione a importanti festival a supporto di giganti già affermati, la maggiore consapevolezza dei propri mezzi compositivi: una catena di elementi cardine che contribuiscono alla genesi dell'album classico per antonomasia prodotto dai moschettieri di Austin, sempre sotto l'egida della lungimirante ATCO Records.

 

Le scorie legate al passato della band, ancora presenti in "Cowboys From Hell", conoscono una pressoché completa rimozione; Phil Anselmo abbandona i vocalizzi halfordiani, la sezione ritmica si impone robusta, supplendo in modo mirabile alla mancanza di una seconda chitarra (tanto da limitare al minimo le sovraincisioni), i virtuosismi e la quadrature della sei corde di Dimebag Darrel raggiungono probabilmente l'acme esecutivo: eppure non si tratta di un lavoro disegnato a tavolino, né tantomeno progettato a freddo. Il pregio di "Vulgar Display Of Power" consiste nell'essere un violento pugno assestato senza preavviso, un'immediatezza senza compromessi che si erge come maggior punto di forza dell'intero platter; in studio, i Pantera approdano soltanto con qualche demo, la cesellatura del resto delle tracce viene attuata in presa diretta, con grande guadagno in termini di efficacia comunicativa.

 

Se nel 1991 i Metallica, con l'uscita del full-length omonimo, operano una svolta artistica e commerciale che divide e sorprende gli affezionati, i nostri reagiscono attraccando sulla sponda opposta del fiume: una risposta carica di collera e sudore, ma senza trascurare un'attitudine alla variatio capace di mutare dall'interno lo standard della Bay Area, arricchendolo di ulteriori sfumature. Nasce il groove metal, sebbene risulti azzardato considerarlo un genere dalle coordinate precise e dai contorni marcatamente definiti. Al di là delle etichettature più o meno pertinenti, i Pantera di lì a poco diverranno pietra di paragone e fonte di ispirazione per i gruppi a venire: gli assidui stop&go degli statunitensi, ben bilanciati e mai sopra le righe, oltre che modello per formazioni coeve, in numerosi casi costituiranno monotona e sfibrante regola per la futura ed effimera congerie nu metal.

 

Non necessitano poi molti minuti per comprendere l'attenta rivoluzione apportata dai Pantera: i primi due pezzi, "Mouth For War" e "A New Level", curiosamente della stessa durata, suonano anomali, quasi inconsueti nel panorama estremo contemporaneo, con gli originali giochi a incastro di chitarra e percussioni e Vinnie Paul istrionico nel ruolo di perfetto deuteragonista.  La voce grattugiata di Anselmo, quando sembra ormai subissata da un imponente wall of sound, riemerge ferina ostentando un'ira travolgente; lo sconcertante bagaglio tecnico di Darrell, soprattutto in "A New Level", affiora incontrastato, pietrificando l'incauto ascoltatore, non abituato a tale vortice espressivo. Neanche il tempo di respirare ed ecco che senza soluzione di continuità giunge a percuotere i timpani quello che può essere considerato l'anthem per eccellenza del combo nordamericano: "Walk". Ritmica marziale, voce caustica che scandisce il testo quasi spezzandolo in minacciosi tronconi ammonitori, un refrain così energico da scandire a squarciagola e corredato da un assolo memorabile: di fatto un capolavoro di ineguagliabile suggestione empatica. "Fucking hostile" racchiude nel nome la sua stessa essenza: il metal inquinato da influenze hardcore-punk non fa nulla per purificarsi, anzi voluttuosamente ne cavalca le distorsioni, colorandosi di un dinamismo furioso. Il sanguinolento growl che reitera il titolo ferisce come vetro sulla lingua.

 

I texani tuttavia non insistono sulla ripetizione schematica, intercalando alla pura devastazione sonora una ricerca formale tendente alla varietà. Così "No good (Attack The Radical)" vive di vibrazioni vicine al rap, mentre nell'intensa "Live In A Hole", il basso vigoroso di Rex Brown, fondamentale con le sue frequenze gravi e ovattate per l'intero LP, dipinge scenari al limite dell'introspezione catacombale. Se "Regular People (Conceit)" e "By Demons Be Driven" spiccano per esplosività dinamitarda, "Rise", sincopata e durissima, custodisce probabilmente la sintesi concettuale dell'universo Pantera. Nelle continue invettive contro le storture della società, in un clima che trasuda angoscia e cupezza, "This Love" e "Hollow" rappresentano la facies melodica e avvolgente del disco: due momento lirici, lenti, meditabondi e in parte avulsi da affilate crudezze, in cui le agre sensazioni dell'abbandono e della disperazione rappresentano il contraltare di una rabbia che innerva ogni sezione dell'opus.

 

Dieci gemme dunque che proiettano definitivamente i Pantera nel cosmo dei gruppi fondamentali ai fini dell'evoluzione di un intero movimento, per sua natura conservatore e sospettoso nei confronti di qualsivoglia rovesciamento, anche minimo, di valori consolidati: a venticinque anni di distanza quella volgare dimostrazione di potere lascia ancora esterrefatti e non possiamo che inchinarci ad essa con reverente e appassionato Re - Spect.





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