War On Drugs
Lost In The Dream

2015, Secretly Canadian
New Wave / Shoegaze

Recensione di SpazioRock - Pubblicata in data: 29/03/15

Recensione a cura di Francesco Campaioli

 

Persi. Quei ragazzi orami non sono nemmeno più così giovani, non possono permetterselo e si sono persi in quel sogno.

 

The War On Drugs è una band nata nel 2005 a Phiadelphia, sotto il suono della Liberty Bell. Adam Granduciel e amici hanno dato alla luce tre album di discreto successo nell'arco di dieci anni, di certo non una band prolifica. I loro lavori, caratterizzati da una vena nostalgica smaccatamente anni 80 e da atmosfere psichedeliche in pieno stile new wave, sono tuttavia degni di nota, distinguendosi per una produzione di gran gusto.

 

Lost In The Dream però ha qualcosa in più. L'album si apre con Under The Pressure. Il trasporto emotivo esercitato dal primo brano è totale, Red Eyes segue la scia, trascinando l'ascoltatore in modo definitivo all'interno del sogno. Se siete arrivati fino a questo punto siete spacciati. Da questo sogno non c'è via d'uscita. La sensazione che si prova è quella di avere un desiderio sfrenato di ballare, senza senso, senza motivo, persi e felici, consapevoli della vacuità dell'esistenza, felici di fotterla riempiendone il buco con del buon rock. Lost In The Dream è racchiuso all'interno delle prime due canzoni, tutto ciò che segue è riverbero. Eco di ciò che è già accaduto. Chi si perde all'interno del sogno vive all'infinito nell'orizzonte degli eventi di un'eternamente lontana via d'uscita. Suona pretenzioso, ironicamente l'ultimo lavoro dei The War On Drugs è sobrio, autentico, senza fronzoli. Prendete gli anni ottanta, togliete tutto ciò che c'è di pacchiano e lasciate il senso di smarrimento che evapora da un decennio musicale distillato dallo show business. L'album è ripetitivo. Molto ripetitivo, ripetitivo al punto tale da sublimare la noia in nostalgia. Quando dico che le successive otto canzoni sono eco delle prime due non esagero. Quasi sempre i ragazzi di Philadelphia usano gli stessi accordi, gli stessi giri armonici, lo stesso ritmo (con ben poche eccezioni). Si può cantare il ritornello di Under The Pressure su ognuno dei brani e viceversa. Questa scelta compositiva è degna di stima, nota di coraggio, tuttavia la band non sembra voler osare, dà piuttosto l'idea di voler condividere un contenuto profondo. Dal punto di vista tecnico Granduciel firma una produzione impeccabile, suoni, esecuzioni e composizione sono gradevolissimi e consistenti, riuscendo così ad ottenere un album degno di essere chiamato tale. La batteria trascina con i suoi 170-180 bpm pressoché costanti, rullante dentro una cattedrale, cassa piena e presente.

 

C'è un che di punk che ricorda vagamente gli Arcade Fire di Month of May e Antichrist Television Blues. Tuttavia è inutile sprecare troppe parole per descrivere questo lavoro, l'unica cosa da fare è investire dieci minuti della propria vita per ascoltare i primi due brani. Non fatelo a casa, metteteli sul vostro iPod e andate uscite. Aprite bene gli occhi, mettetevi le cuffie. A mio avviso Lost In The Dream è invalutabile. È quell'album che ti fa immaginare i tuoi genitori ventenni, ebbri delle loro illusioni e totalmente smarriti, che ballano al suono di Streets of Philadelphia.





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