We Came As Romans
Tracing Back Roots

2013, Nuclear Blast
Metalcore

Recensione di Lorenzo Zingaretti - Pubblicata in data: 03/08/13

Ricordo molto bene il mio primo incontro con i We Came As Romans, due anni fa in occasione dell'uscita del loro secondo disco, “Understanding What We've Grown To Be”. All'epoca non fui certo tenero nel recensirli: un disco abbastanza inutile, perso nel pentolone del nuovo metalcore (che sembra far acqua da quasi tutte le parti), insomma con troppi difetti per convincere. “Tracing Back Roots” è la nuova fatica della band del Michigan, e se dovessi giudicarlo con quattro parole in croce direi “meglio del previsto”.

 

Mi aspettavo infatti una scialba copia di quanto fatto in passato, cioè i soliti, stra-abusati riff di chitarra accompagnati da breakdown ogni due per tre, l'alternanza tra la voce in scream di David Stephens e l'orribile pulito di Kyle Pavone, gli stucchevoli inserti elettronici. La cosa buffa è che tutti questi elementi si ritrovano anche nel nuovo disco, ma sembrano essere meglio amalgamati, tanto da contribuire a comporre un album ascoltabile e, a tratti, anche intrigante. La differenza principale è che l'elemento “metal” (basta un paio di virgolette, o ne metto un'altra decina?) si è affievolito mentre la melodia sembra aver preso il sopravvento, tanto da regalare momenti al limite del pop-alternative rock.

 

L'apertura affidata alla title-track è affine ai vecchi “fasti” del gruppo, ma già dopo pochi minuti, verso il termine del pezzo, la rinnovata vena pop dei We Came As Romans fa capolino, con un refrain che si installa in testa già dal primo ascolto. Ok, quel “My home is in your heart” liricamente sarebbe più degno di Justin Bieber, ma non sorprendiamoci più di tanto se ci ritroveremo a canticchiarlo... Un'altra sorpresa è l'apparizione delle clean vocals di Stephens, nella riuscita “Fade away”, brano che ha davvero poco da spartire con la scena metalcore. Un consiglio spassionato che darei alla band è quello di tappare la bocca di Pavone e sostituirlo con lo screamer, abile anche nelle parti pulite.

 

Insomma il disco scorre abbastanza bene, tra mezzi plagi ai Lostprophets (“Present, future, and past”), altro gruppo che probabilmente ha contribuito alla mezza svolta dei We Came As Romans, ritornelli commerciali e molto orecchiabili (“Hope”) ed episodi che sconfinano nell'ibrido punk-metalcore tanto caro a gente del calibro degli A Day To Remember (“I am free”). Un altro riferimento potrebbero essere i Linkin Park, ormai svoltati completamente verso lidi semi-elettronici e pop, in cui del rock rimane solo la forma canzone e qualche chitarra distorta, di cui i We Came As Romans potrebbero diventare la versione più pesante. “I survive”, terza traccia del disco, corrisponde a questa definizione – e vede anche la partecipazione di Aaron Gillespie, ex batterista e cantante degli Underoath.

 

In definitiva si tratta di un disco non così originale e di certo lontano dai fasti di chi nel genere quest'anno ha dettato legge (per informazioni bussare alla porta di Bring Me The Horizon e Letlive), eppure non da buttare via senza avergli dedicato qualche ascolto. Insomma, se avete voglia di un metalcore all'acqua di rose “Tracing Back Roots” potrebbe fare al caso vostro. Se poi un giorno i nostri si decidessero a zittire Pavone, potrei anche arrivare a dare un 7, come voto finale.





01. Tracing Back Roots  

02. Fade Away  

03. I Survive ft. Aaron Gillespie  

04. Ghosts  

05. Present, Future, and Past  

06. Never Let Me Go  

07. Hope  

08. Tell Me Now  

09. A Moment  

10. I Am Free  

11. Through the Darkest Dark and Brightest Bright

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