L'opener "Sundae Driver" getta le basi stilistiche dell'intera tracklist: sludge/doom/stoner metal lento e travolgente, che trasuda da ogni nota e a volontà Black Sabbath, Electric Wizard e Sleep, e che, rispetto al passato, presenta una veste meno grezza e istintiva. Lavorano di cesello e non di mestolo, gli statunitensi, e senza modificare troppo una formula oliata e pionieristica, si concedono, tra le consuete spirali ipnotiche in formato jam session (il medley "Earth Bong / Smoked / Mags Bags"), macigni acidi e nebbiosi (l'inno "Free The Weed"), brevi intermezzi sospesi ("The Weedeater"), vertiginose fughe psichedeliche ("Space Rock").
Non si rivela molto azzeccata, invece, la scelta di una produzione che, oltre a nascondere dietro il muro sonoro eretto dai cordofoni gli sporadici ululati di Mike "Muleboy" Makela, imbriglia nei riff densi e relativamente appiccicosi di Jeff "Spunky" Scultz l'anticonvenzionale gioco di piatti e rullante in levare della batteria di Mike "Magma" Henry, meritevole di maggior spazio e rilevanza. Dominano, dunque, il fuzz, le accordature grasse, i subwoofer ("Gummies"), ma emerge una leggerezza di fondo ad alimentazione green power e, almeno per il genere, povera di riverberi esasperati, che rende l'insieme piacevolmente paranoico e simpaticamente lisergico.
Dissolvere nei vapori del bong le preoccupazioni del mondo esterno: i Bongzilla, con "Weedsconsin", adempiono alla missione, pur non licenziando la miglior opera della carriera. In ogni caso, THC a manetta.