White Skull
Will Of The Strong

2017, Dragonforce Records
Heavy/Power Metal

Non delude le aspettative l'atteso ritorno di una band storica
Recensione di Giovanni Ausoni - Pubblicata in data: 25/05/17

Dopo un lustro tornano alla carica i cari compatrioti White Skull, indefessi alfieri del power/heavy metal italiano. Veterani della scena, autori dell'eccellente "Tales From The North" (1999), in cui spiccava ospite d'eccezione nientemeno che Chris Boltendhal dei Grave Digger, e dell'affascinante "Dark Ages" (2012), concept sul tema dell'Inquisizione, i nostri, latori di una proposta pressoché coerente nella forma come nella sostanza, da sempre contano, sia in patria che all'estero, su uno zoccolo duro e affezionato di defenders che ha loro permesso di restare a galla anche in periodi di appannamento ed improvvidi andirivieni di musicisti.

 

A questo proposito se "Under This Flag" segnava il ritorno di Federica "Sister" de Boni in pianta stabile nella band vicentina, "Will Of The Strong" conferma la line-up della prova precedente con l'aggiunta di Alexandros Muscio (Opera IX) alle tastiere, ponendo fine alla continua rotazione di cantanti e strumentisti: ne trae profitto il nuovo opus, fresco e moderno nell'impatto, che si distacca senza strappi traumatici dal tradizionale trademark del gruppo.

 

Agevolati da una produzione pulita e ben bilanciata, in cui l'alternanza tra potenza e toni cadenzati conferisce sfumature eterogenee al platter, i White Skull si avvalgono di una formula innegabilmente ben oliata, ma abbastanza originale, benché gli anni di carriera alle spalle (trenta) e il numero dei full length pubblicati (dieci) potrebbe prospettare il contrario; la rodata ritmica del duo Fontò/Mantiero, i guitar solos incisivi di Danilo Bar, il ruolo delle tastiere, non fastidiosamente invasivo, l'aggiunta delle orchestrazioni, l'assenza di filler e una buona qualità media delle canzoni rappresentano gli elementi che contribuiscono alla realizzazione di un puzzle dall'afflato eroico e tutto sommato trascinante.

 

La bellicosa intro strumentale ("Endless Rage") proietta l'ascoltatore nei racconti dei bardi vicentini: simbolicamente incarnate dalla prode guerriera ritratta nella fiammeggiante cover di Gaetano Di Falco (Manowar, Ten), le gesta di donne coraggiose, tra storia reale e saga vichinga, ci accompagnano in un running time complessivo di sessanta minuti piuttosto scorrevoli e coinvolgenti. L'incedere di "Holy Warrior" colpisce per il refrain catchy ed immediato, "Grace O' Malley" e la title-track si impongono per un ritmo dinamico e vertiginoso dal taglio sobriamente epico, con la voce di "Sister" De Boni che svetta energica e aggressiva. Ma i Teschi disdegnano fortunatamente l'impianto monolitico, concentrandosi sulla varietà dei pezzi: heavy metal classico e accattivante di sapore ottantiano e anglo-teutonico ("Shieldmaiden, "Lay Over"), lavoro d'asce cristallino e rotondo ("Hope Has Wings", "Warrior Spirit"), mid-tempos, breaks e accelerazioni alternati nel medesimo brano ("Lady Of Hope", "Metal Indian"), orchestrazioni in primo piano senza annacquare troppo la consistenza del sound ("I Am Your Queen"). Nota a parte merita l'intensa ballad semi-acustica "Sacrifice", in cui il songwriting, pur connesso al quadro generale delle tematiche e delle sonorità del disco, se ne distanzia lievemente, conducendo la band verso una maggiore libertà compositiva.

 

Tuttavia qualche crepa qua e là non manca: i cori marcati, il basso di Raddi in alcuni inserti ingiustamente in sordina, il largo spazio concesso alla componente melodica, con l'heavy che si tinge di un power talvolta schematico e prevedibile, e un'architettura testuale a tratti disorganica non giovano all'economia generale dell'album. Di certo però essi non appaiono difetti sufficienti ad etichettare la presente release un bolso tentativo di rinnovamento di vecchie cariatidi prossime al ritiro. Pur non all'altezza dei masterpieces d'esordio, né brillando per alchimie sperimentali, Fontò e soci riescono nel difficile compito di essere fedeli alla propria identità evitando di pietrificarsi nella riproduzione automatica di stilemi cavalcati fin troppo spesso da epigoni poveri di idee e personalità.

 

Classico e contemporaneo, adatto agli oltranzisti, ai dubbiosi e ai neofiti, "Will Of The Strong" dimostra ancora una volta che la rivisitazione intelligente del passato è in grado di generare esiti complessivamente godibili e vigorosi: lontani dalle mode del momento e attenti al dettaglio (perché no, anche commerciale), i White Skull non tradiscono, restando a pieno titolo nel ristretto novero degli ensembles più significativi del genere nel circuito europeo.

 





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