Date le premesse, nel suo successore "World War X" ci si aspettava di inoltrarsi nell'oscuro sentiero intrapreso; invece, con un poco di delusione, l'ascoltatore si ritrova per le mani un album decisamente più ortodosso ed inquadrato, si oserebbe dire "disciplinato", che sembra aver fatto un'inversione a U rispetto alle interessanti novità di cui sopra.
Questo non significa che la qualità del songwriting del disco sia scadente, o che manchi il tiro; brani come il singolo "No Light Shall Save Us", impreziosito dalla partecipazione di Alissa White - Gluz degli Arch Enemy, o la title track, o l'inesorabile "Eyes Of the Executioner" hanno tutte le carte in regola e gli ingredienti al loro posto. "Hail Hellfire" è potente, ben prodotta, suonata alla perfezione: una cannonata nei reni. Purtroppo però sono tutti brani che vanno così incontro alle aspettative medie dell'ascoltatore, talmente privi di rischio e lisci lisci sui padiglioni auricolari che fanno venire in mente quel tizio che diceva: «Quest'album è stupendo, praticamente perfetto. Tra due giorni me lo sarò scordato». Certo: le critiche, anche pungenti, a "Slow Death" non erano mancate; ma che diamine, fa parte del gioco. Dopo le belle e rischiose innovazioni introdotte, c'era davvero necessità di un album così maledettamente cauto, che sembra riportare indietro di dieci anni la proposta della band?
Se è bello e giusto premiare il coraggio, bisogna anche biasimare quella che, sotto ogni aspetto, sembra un'opzione comoda e un po' codarda; quella cioè di percorrere strade ben collaudate ma proprio per ciò prive di ogni scabrosità. Scelta infelice sempre, ma tanto più inspiegabile quanto più si pretende di fare musica "estrema". In arte, come d'altra parte in altri ambiti, andare incontro troppo smaccatamente a ciò che il pubblico si aspetta, essere troppo cauti e calcolatori, può essere molto più rischioso del rischio stesso.