Carnifex
World War X

2019, Nuclear Blast Records
Death Metalcore

Dopo la bella sorpresa di "Slow Death", "World War X" dei Carnifex è un inspiegabile ritorno al passato che lascia interdetti
Recensione di Matteo Poli - Pubblicata in data: 08/08/19

Tre anni fa, i californiani Carnifex avevano fatto esultare al miracolo parecchi affezionati del deathcore. Genere nato all fine degli anni '90 con l'introduzione da parte di alcune band (tra cui Dying Fetus, Antagony, Despised Icon) dei breakdown tipici dell'hardcore nel dettato metal, ha toccato il suo apice di popolarità nel sudest degli USA (Arizona, California) nella seconda metà del decennio scorso, in particolare con band come Bring Me The Horizon (oggi lontanissimi dal genere degli esordi), Suicide Silence (oggi, alternative metal) e, più defilati, con gli stessi Carnifex. Già verso il 2012, il genere (e più in generale tutto il metalcore) iniziava a mostrare la corda. "Slow Death" del 2016, che era coinciso con l'ingresso della band nella scuderia Nuclear Blast, fu accolto come un riuscito tentativo di ibridare un genere già ibrido e in deflazione come il deathcore con il black metal. Molti avevano reagito come con un sacrilegio; altri erano entusiasti o, quantomeno, divertiti.


Date le premesse, nel suo successore "World War X" ci si aspettava di inoltrarsi nell'oscuro sentiero intrapreso; invece, con un poco di delusione, l'ascoltatore si ritrova per le mani un album decisamente più ortodosso ed inquadrato, si oserebbe dire "disciplinato", che sembra aver fatto un'inversione a U rispetto alle interessanti novità di cui sopra.
Questo non significa che la qualità del songwriting del disco sia scadente, o che manchi il tiro; brani come il singolo "No Light Shall Save Us", impreziosito dalla partecipazione di Alissa White - Gluz degli Arch Enemy, o la title track, o l'inesorabile "Eyes Of the Executioner" hanno tutte le carte in regola e gli ingredienti al loro posto. "Hail Hellfire" è potente, ben prodotta, suonata alla perfezione: una cannonata nei reni. Purtroppo però sono tutti brani che vanno così incontro alle aspettative medie dell'ascoltatore, talmente privi di rischio e lisci lisci sui padiglioni auricolari che fanno venire in mente quel tizio che diceva: «Quest'album è stupendo, praticamente perfetto. Tra due giorni me lo sarò scordato». Certo: le critiche, anche pungenti, a "Slow Death" non erano mancate; ma che diamine, fa parte del gioco. Dopo le belle e rischiose innovazioni introdotte, c'era davvero necessità di un album così maledettamente cauto, che sembra riportare indietro di dieci anni la proposta della band?


Se è bello e giusto premiare il coraggio, bisogna anche biasimare quella che, sotto ogni aspetto, sembra un'opzione comoda e un po' codarda; quella cioè di percorrere strade ben collaudate ma proprio per ciò prive di ogni scabrosità. Scelta infelice sempre, ma tanto più inspiegabile quanto più si pretende di fare musica "estrema". In arte, come d'altra parte in altri ambiti, andare incontro troppo smaccatamente a ciò che il pubblico si aspetta, essere troppo cauti e calcolatori, può essere molto più rischioso del rischio stesso.





01. World War X
02. Visions Of The End
03. This Infernal Darkness
04. Eyes Of tHe Executioner
05. No Light Shall Save Us (feat. Alissa White-Gluz)
06. All Roads Lead To Hell (feat. Angel Vivaldi)
07. Brushed By The Wings Of The Demons
08. Hail Hellfire
09. By Shadows Thine Held

Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool