Yeah Yeah Yeahs
Mosquito

2013, Interscope
Indie Rock

La zanzara che ha prosciugato il sangue dell'ispirazione dal trio newyorkese
Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 22/04/13

Agli Yeah Yeah Yeahs non si può certo rimproverare l'impoverimento costante, nella loro sinora brillante discografia, dell'energia post punk degli esordi in favore di un electro pop sfavillante ed energico, di quelli che hanno portato ad un post-Blondie (o post-Joan Jett & The Blackhearts, se preferite) assai sfizioso ed accattivante perfettamente incarnato nello scorso "It's Blitz!".

A quattro anni di distanza, un periodo di riposo estremamente lungo che inevitabilmente crea alte aspettative, ciò che oggi non si può perdonare al power trio newyorkese, ed al loro "Mosquito" di riflesso, sono i momenti di calma piatta nell'ispirazione, un tracollo verticale che il disco subisce a metà strada, in cui i tentativi di resurrezione della tensione attraverso power rock songs dedicate agli alieni paiono quantomeno parodistici ("Area 52"). E' un peccato, perché per come parte questo quarto episodio (EP esclusi) in discografia, l'impressione è quella di volerci deliziosamente viziare: dal nervo soul che, inaspettatamente, si impossessa dell'incipit incalzante di "Sacrilege", alla suadente fascinazione di "Under The Earth", non ci si aspetta per davvero la noia che solo l'innesto scolastico, eppure ben riuscito, dell'hip hop di Dr. Octagon riesce a mitigare su "Buried Alive", salvo poi - fortunatamente - sparire del tutto sulla meravigliosamente stralunata interpretazione di Karen O in "Despair", per concludere poi tutto con la classica power ballad  di "Wedding Song".

Per quanto discontinuo, comunque, "Mosquito" soffre principalmente di un senso di addomesticamento quasi forzoso anche nei suoi momenti meglio riusciti, come se la sfavillante chioma biondo platino e le tutine glitterose alla Elvis della "nuova Karen" fossero uno specchio per le allodole in grado di distogliere l'attenzione dell'ascoltatore nei confronti di un'opera sì godibile, ma forse eccessivamente convenzionale. Una pigrizia molesta, laddove il disco invece richiedeva, a gran voce, una carica ed uno sforzo maggiore.

Ed è di nuovo un peccato, perché questa è una band principalmente di sostanza, non di forma.  




01. Sacrilege 
02. Subway 
03. Mosquito 
04. Under The Earth 
05. Slave 
06. These Paths 
07. Area 52 
08. Buried Alive (feat. Dr. Octagon)
09. Always 
10. Despair 
11. Wedding Song 

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