Yellow Moor
Yellow Moor

2014, Prismopaco Records
Alternative Rock

Una boccata d'aria fresca nel contaminato underground italiano
Recensione di Nicolò Rizzo - Pubblicata in data: 31/03/14

Immaginate di essere dei puritani intrappolati in una sala per fumatori (oppure dei fumatori intrappolati in una sala per puritani, fate voi). Voi siete lì, in mezzo a gente che non vi piace, a combattere con il bruciore agli occhi, mentre sentite i vostri polmoni sempre più pesanti, come se si stessero colmando di catrame. Siete lì, incazzati neri, quando all'improvviso la vedete: una finestra. E allora voi vi alzate, correte verso quello spiraglio di salvezza, la aprite e, meraviglia, ecco arrivare una ventata d'aria fresca. Ecco, questa è grosso modo la sensazione che si prova ascoltando i Yellow Moor, nuovo progetto sperimentale di Andrea Viti e Silvia Alfei.

 

Questo disco è una finestra che si affaccia su una landa di fiori gialli, fiori che ben si distinguono dal grande mostro ecologico che, oltre alla scena mainstream, sta iniziando a contaminare anche la scena underground italiana, forse l'unica cosa di cui, fino a qualche anno fa, potevamo vantarci. Diciamocelo: l'Italia ha letteralmente stravolto il concetto di "musicalmente interessante". Ormai la norma è quella di valorizzare fino allo sfinimento delle band che, dopo due dischi accattivanti, finiscono per marcire in un grande calderone di autocompiacimento di cui, è il caso di dirlo, nessuno ha più bisogno. C'è bisogno di gente nuova, di gente che sappia suonare e che sappia dare una mano di vernice fresca a questa grande facciata scrostata. Insomma, c'è bisogno dei Yellow Moor.

 

La prima cosa che si avverte, ascoltando questo disco, è che è un lavoro fatto da dei veri e propri professionisti, sia a livello compositivo che a livello di mixaggio: melodie accattivanti e mai ripetitive si destreggiano su testi che, seppur in lingua straniera, sanno guadagnarsi una certa dignità poetica, mentre il tutto è confezionato da suoni ben registrati e calibrati in modo ottimale. Del resto, Andrea Viti non è esattamente quello che si può definire un pivellino. Nel suo curriculum, tanto per citarne alcuni, compaiono nomi come Afterhours e Mark Lanegan, a cui bisogna aggiungere l'esperienza di produttore discografico, un'esperienza che è ben manifesta in questo album.

 

Individuare dei potenziali singoli all'interno di questo disco sarebbe un'impresa piuttosto ardua, perché non c'è nessun riempitivo: ogni singola traccia di dimostra essenziale per mantenere in armonia l'anima dell'album. E' un'anima al tempo stesso variopinta e uniforme, che passa da ballad come l'acustica "Across The Night" e la dolce "Inside A Kiss" (un pezzo che da accendini al cielo), alle atmosfere industrial di "Castle Burned" e all'atmosfera da deserto del Nevada di "They Have Come", mantenendo una certa coerenza narrativa, all'insegna di un alternative rock originale e già ben riconoscibile dalla massa.

 

Quest'opera prima dei Yellow Moor è un disco completo ed efficace, che rimane impresso già ad un primo ascolto, particolare nel suo essere vario ed innovativo. Potrei dire altre mille parole e articolarmi in altrettante metafore per descrivere quanta attenzione meriti questo disco, ma credo che il termine più giusto e plateale sia un solo: figata.





01. Castle Burned
02. They Have Come
03. Covering Things
04. Inside A Kiss
05. Across This Night
06. Seven Lizards
07. Ghost
08. Supastar
09. Out Of The City
10. Yellow Flowers

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