Young The Giant
Mirror Master

2018, Elektra Records
Pop Rock

La band californiana realizza un album semplice e leggero, per un'esperienza soft e dalle tonalità limpide
Recensione di Giovanni Maria Dettori - Pubblicata in data: 15/01/19

"Guardate nello specchio. Cosa vedete? Una figura familiare? Uno straniero? Un mostro? Quello che spesso ci dimentichiamo di considerare è che l’immagine riflessa è solo un’illusione. Così come il mondo, siamo fatti dalle finzioni che le persone ci dicono."
 
Sameer Gadhia, frontman dei Young The Giants, ha parlato così di "Mirror Master", ultima fatica della band californiana. Un disco che promette di scavare nelle paure, nelle apparenze e nell’inconscio delle persone. 
 
La gran parte delle 12 tracce di “Mirror Master” risultano, a differenza di quanto ci si aspetterebbe, limpide e a tratti soft. “Superposition” è scandita dal riff di un mandolino che ha il sapore di un dolce ticchettio, per un brano molto intimo ma piacevole. Persino “Simplify” che si apre con un riff di chitarra che prometterebbe prospettive più ruvide si scopre un rilassato episodio di un pop più semplice e non troppo ricercato. Dopo la scialba “Call Me Back”, il disco prende una trama più corposa con l’ottimo groove di “Heat Of The summer” e con “Oblivion”, un brano dove la voce di Gadhia ricorda in maniera quasi impressionante quella del primo Chris Martin dei Coldplay, e che si ritaglia uno spazio importante pur  senza esplodere. Sebbene la traccia si accartocci un po’ su di se, specie quanto la consistente trama di batteria prende lentamente il controllo, passando da semplice sezione ritmica a vera e propria protagonista, mantenendo però un buon livello
 
La super soft “Darkest Shape of Blue” suona quasi come un intermezzo, ad aprire la seconda metà del disco che funziona bene o male quanto la prima nella sua semplicità, rischiando di finire fuori strada in principio. “Brothers Keeper”, nonostante l’intrigante linea del basso, perde brillantezza nel ritornello, mentre “Tightrope” flirta con il pop à la Bruno Mars non convincendo eccessivamente. Il disco non perde comunque il suo smalto grazie alle parentesi più chiaroscurali ed intriganti della bella “Glory”, che a tratti sembra uscita dal trip hop della fine dei ’90, o della scintillante “Panoramic Girl”. Il disco si conclude esattamente con due esempi delle diverse traiettorie finora seguita: la ballad amorosa “You + I”, che già dal titolo lascia intendere una stucchevole semplicità di liriche che si accompagna a un’esperienza sonora non indimenticabile (anzi) e la robusta title track “Mirror Master”, che chiude bene il nostro percorso sonoro. 
 
“Mirror Master” non delude i fan storici dei Young The Giants, esponendosi in maniera cauta ad un sound decisamente, ma che conserva comunque un nocciolo ruvido che rimane la vera radice di questo disco. Il quinto lavoro della band, nella sua semplicità, fa il suo dovere dipingendo quadri quotidiani e percezioni visive e sonore gradevoli, con un insieme di ingranaggi che non smettono mai di girare, si incastrano bene e ci regalano una buona esperienza sonora. 





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