Prong
Zero Days

2017, Steamhammer/SPV Records
Groove/Industrial/Thrash Metal

"Zero Days" è un vertice nella carriera dei Prong, mai così vicini al cuore dolente e contraddittorio del mondo occidentale.
Recensione di Matteo Poli - Pubblicata in data: 12/08/18

Sono poche le metalband oggigiorno che osino affrontare la complessità e le contraddizioni del nostro tempo attraverso la propria arte. Per lo più si opta per vari tipi di evasione: un aldilà di qualche tipo, sia esso un luogo o un tempo remoto, una mitologia, un esoterismo. Oppure si sprofonda nella citazione con relativo culto del passato, come testimonia l'ondata di classic metal che percorre il mondo della musica pesante. Ma quanti gruppi osano davvero affrontare il mondo, il presente, le sue minacce e le sue seduzioni? In questo sono stati pionieri alcuni album metal degli anni '90. Sì, proprio quelli anni tanto bistrattati e che oggi chi guarda al passato salta perlopiù a pié pari.

 

Dischi come "Chaos A.D." dei Sepultura, "From Enslavement To Obliteration" dei Napalm Death o, sul versante più mainstream, l'eponimo dei Rage Against The Machine. Ma proprio il metal degli anni '90, quello della crisi, che non evade e che affronta la complessità, deve molto a un trio, sorto dai bassifondi dell'hardcore, che si impone al rispetto degli addetti ai lavori col sottovalutato (dai più) "Beg To Differ" del 1990; sotto la benedizione dei Killing Joke, i Prong tengono i natali ad almeno due generi, ovvero l'industrial ed il groove metal e proprio al loro stile e particolarissimo riffing guardavano da un lato MinistryNINRob Zombie e dall'altro Static X, KornMachine Head e gli stessi Pantera. Nel 1993 "Cleansing" li fa finalmente conoscere al grande pubblico, soprattutto grazie al singolo "Snap Your Fingers, Snap Your Neck". Poi vengono nell'ordine reclutati e scaricati da una major, non prima di produrre un paio di lavori alternative in cui per la prima volta introducono il programming digitale.

 

Segue uno iato in cui la band scompare, il batterista Ted Parsons si chiama fuori e Tommy Viktor collabora con altri esponenti dell'industrial americano in vari progetti. Nel 2008, con una formazione nuova fiammante, torna il  successo con "Power Of The Damager". Dall'ottimo "Ruining Lives"(2014) in avanti, la band ha continuato a produrre musica di alto livello al ritmo forsennato di un album all'anno, cavalcando un'onda creativa derivata certo anche dai nuovi arrivi Art Cruz (batteria) e Jason Christopher (basso e cori) e culminata con il praticamente perfetto "Zero Days", nel luglio del 2017.

 

L'opus compendia quanto di meglio e di più incisivo i Prong sono capaci di fare. A partire dalla confezione: l'artwork, rutilante ed inquieto, è quello delle grandi occasioni così come la mole del lavoro (14 pezzi, sessanta minuti). Una produzione finalmente limpida, equilibrata e potente, che dà conto delle dinamiche e dell'assalto sonico del gruppo; un suono faticosamente conquistato dopo anni di esperienza. Andando al sodo, "Zero Days" fotografa i Prong in una maturità compositiva che dispiega quasi senza sforzo tutta la potenza della propria proposta, uno stile inconfondibile in equilibrio tra post hardcore, thrash, industrial e groove. Inconfondibile, sì, ma mai così seducente e tagliente. 

 

Partiamo? Via: "However It May End" è una delle molte canzoni manifesto di un album conficcato in profondità nel ventre marcio del mondo, un invito a tenere gli occhi aperti, non arrendersi, cercare di venirne a capo, in qualunque modo finisca. Potente, affilata, dall'armonia contorta ma accattivante: «catchy and pissed-off» per usare le parole di Tommy Viktor. Sarà una cifra stilistica dell'intero album. "Zero Days" è un brano che al primo ascolto passa quasi in sordina, data la smagliante evidenza di altri, ma scava in profondità: dall'armonia complessa e mai banale, è forse quello più decisamente post-hardcore. È il desolato e furioso canto del cigno dell'uomo occidentale, senza punti di riferimento morali ed in balìa di processi economici disumanizzanti: «zero days/out of options/the cancelation/revelations here today». La trave della successiva "Off The Grid" ci colpisce in pieno viso. Un'importante novità rispetto ai Prong del passato è che, se possibile, lo stile di Tommy Viktor si è fatto ancora più intenso: gli assoli sono di una semplicità pari solo alla loro bellezza ed essenzialità, altra cifra che contraddistingue tutto il lavoro. "Divide And Conquer" è, nell'ambizione della band, una vera e propria "anathem song": è qui - come anche in "Wasting Of The Dawn", "Compulsive Future Projection" e in altre - che si sperimenta la grande capacità dei Prong di dare vita a refrain accattivanti, originali e dalle armonie maledettamente malate. "Forced Into Tolerance" è un furioso assalto thrash al servizio di un testo polemico: occorre sfuggire al condizionamento che ci impone di accettare con pazienza qualsiasi cosa accada. Non si può tollerare tutto ed occorre alzare la voce, farsi sentire e rifiutare. I Prong non si sottraggono al mondo. Anzi, lo mettono in musica. E dall'emozione fanno venire la pelle d'oca. "Interbeing" allude a un concetto rivoluzionario sorto in ambito buddhista, ma che si sta imponendo negli ultimi anni. Si intende con "interessere" non il singolo, ma l'interdipendenza di ognuno in un tutto vivente ed interconnesso. Ad esempio, il tuo interessere comprende non solo la tua cultura, il tessuto dei vestiti che indossi e la sostanza dei cibi che assumi, ma anche chi ha tessuto i vestiti e lavorato i cibi e chi o cosa ti ha formato culturalmente. E via così.


I Prong si scagliano insomma contro l'individualismo sfrenato dell'Occidente e mettono in musica ciò che esso produce: confusione, rabbia, povertà, violenza, apatia, schiavitù, pseudorealtà, assenza di punti di riferimento morali. Non si potrebbe essere più al centro della complessità. Col suo ritornello melodico, "Blood Out of Stone" non è il brano di punta ma, vibrante com'è di indignazione, è forse quello più emozionante del full length. "Operation Of The Moral Law" è invece quello più sarcastico e violentemente metal, e il finto trionfalismo con cui osserva l'"età della ragione" e della "legge morale" scorre lungo la schiena come un cubo di ghiaccio. Quasi non ci si riprende dall'assalto, che sta arrivando "The Whispers", a ricordare che efficacia ed essenzialità vanno di pari passo, là dove il metal di oggi ama spesso il barocco, sovrabbondante e cerimonioso. Qui non ci sono convenevoli, si va dritti al cuore. "Self Righteous Indignation", (relativamente) lenta e (decisamente) inferocita percuote come una mazzetta da cinque chili sul petto, caricando la molla per lo scatto della successiva "Rulers Of The Colletive", atto di accusa contro l'establishment politico americano."Compulsive Future Projection" ironizza sui nostri progetti per il futuro e su quanto spesso conducano, col miraggio di un domani migliore, alla certezza di un presente psicotico. La conclusiva "Wasting of the Dawn", percorsa da un refrain che faticherà ad abbandonare le vostre orecchie, riassume perfettamente tutte le virtù dell'album e della formazione.


Una band mai così in forma; un'opera mai così bella, potente, ispirata, ben prodotta. Dispiace constatare come i Prong, che proprio ora vivono una seconda giovinezza, non abbiano ancora fatto davvero presa sul pubblico italiano come meriterebbero. Speriamo che l'ascolto di "Zero Days" convinca molti anche perchè è uno di quei lavori che riconcilia con quanto di meglio un genere complesso e anche contraddittorio come il metal è in grado di offrire, attraverso una delle sue incarnazioni più originali e convincenti: non è cosa da poco.





01. However It May End
02. Zero Days
03. Off The Grid
04. Divide And Conquer
05. Forced Into Tolerance
06. Interbeing
07. Blood Out Of Stone
08. Operation Of The Moral Law
09. The Whispers
10. Self Righteous Indignation
11. Rulers Of The Collective
12. Compulsive Future Projection
13. Wasting Of The Dawn

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