Majesty Of Silence
Zu Dunkel Für Das Licht

2018, Extreme Metal Music/Rockshots Records
Atmospheric Black Metal

Recensione di Giovanni Ausoni - Pubblicata in data: 04/06/18

"In Svizzera non ci fu che amore fraterno, ma in cinquecento anni di quieto vivere e di pace che cosa ne è venuto fuori? L'orologio a cucù".
 
 
La celebre e irriverente battuta di Orson Welles pronunciata ne "Il Terzo Uomo" (1949) sotto le vesti di Harry Lime, per quanto irresistibile, trascurava l'importanza dello Stato rossocrociato nell'elaborazione di un maturo pensiero democratico e di un cioccolato di notevole qualità: forse oggi il grande cineasta e attore statunitense sceglierebbe una nazione alternativa ove poter riversare la propria arguzia lasciandosi ammaliare dalla classe di Roger Federer e, soprattutto, dalla vena sperimentale del metal dei ventisei cantoni autonomi. Celtic Frost, Coroner e Samael, in rispettoso ordine alfabetico, riscrissero, in modi diversi, le regole della musica estrema, la resero ibrida, ne decretarono l'uscita da canoni troppo ristretti: i conterranei Majesty Of Silence proseguono l'opera di padri così prodighi e innovativi, facendosi carico di una proposta che sfugge a una ferrea catalogazione.
 
 
Peter Mahler e Christian Geissmann, unici due superstiti della band, originariamente un classico quartetto attivo sin dal 1996, tornano sulle scene con un LP peculiare, ma in fin dei conti non molto sorprendente considerando i tre lavori passati: se lo scorso album "Lichtstille" (2010) scavalcava a piè pari il purismo della fiamma nera oltranzista addentrandosi in territori tutt'altro che ortodossi, ebbene, "Zu Dunkel Für Das Licht", cantato interamente in tedesco, porta a compimento definitivo l'evoluzione dell'act in direzione di un universo sonoro pluridimensionale. Benché in alcuni tratti emergano debiti nei confronti dei Cradle Of Filth di "The Principle Of Evile Made Flesh" (1994) e della magniloquenza contenuta dei primi Dimmu Borgir, la fonte primaria a cui si abbevera il duo risponde al nome dei Limbonic Art, storico monicker norvegese fautore di un raffinato e ferale symphonic black ancora lontano da enfatici turgori commerciali: le trame complesse delle chitarre, i blast beat secchi e vertiginosi della drum machine, l'intreccio di voci maschili e femminili sospese tra il declamatorio, il soave e lo screaming acido, vengono avvolti in sontuose orchestrazioni mai fini a stesse, bensì necessarie alla creazione di un clima al medesimo istante convulso e atmosferico. Nondimeno i nostri procedono oltre la fascinazione per Daemon e Morfeus, aprendo le maglie del sound a massicce influenze goth di area teutonica e a spigolose pillole darkeggianti a là Bethlehem, quest'ultime prive però del furore nichilista caratteristico del combo alemanno; l'utilizzo frequente e teatrale dello spoken word, in grado di conferire una fisicità brechtiana all'esistenzialismo tenebroso evocato nei testi, ci consegna davvero un'opera sui generis.
 
 
"Der Untergang" si segnala immediatamente come perfetto battistrada del lotto: ritmo forsennato, cordofoni ricolmi di vesciche, batteria frenetica, ugole angosciate, poi la conclusione arriva improvvisa e tranchant ed ecco pronta "Das Feuer", capace di scavare nelle paure interiori attraverso un riffing incessante e animalesco. Le ferite sanguinanti del tempo che trascorre inesorabile investe le partiture sinfoniche della cadenzata "Der Zahn Der Zeit", brano sorretto da una gelida narrazione corale e da raffiche in tremolo picking infestanti altresì una "Unewarteter Besuch" nella quale si avverte una maggiore libertà di movimento accordata alla componente melodica. L'orrore cosmico di "Endstille" bilancia le tastiere seducenti e pervasive di "Dem Engel Noch Zuhören" e, mentre "Klangfeind - Neuzeithausser" fonde l'etereo e il vorticoso, l'anthem "Traurige Geschicht" parte al pari di un'inquietante filastrocca da carnevale faustiano e avanza cavalcando le onde di una rabbiosa tristezza.
 
 
Nella seconda parte si assiste a un leggero calo dovuto essenzialmente all'estrema lunghezza delle singole tracce: un aspetto che diluisce l'intensità del platter favorendo la presenza di qualche evitabile filler. In particolare le tradizionali "Rudi" e "Zweiundzwanzig" sembrano fuori luogo nel magma rigoglioso del disco e soffocano frustrate nell'imponente desiderio di variazione della coppia di Aarau. I fraseggi udibili di "Sonne" e la mattanza stratificata di "Weisse Welt" riconducono l'opus a buoni livelli: la desolante scoperta in "Erlӧsung" che l'uomo contemporaneo non appare degno neanche dell'Inferno trasporta il gruppo verso rassegnati orizzonti di malinconia, scemanti negli esiziali secondi di pace della conclusiva "Stille". Gli strumenti si ritirano mesti, schiacciati da una condizione di maestoso silenzio.
 
 
I Majesty Of Silence dunque non temono i rischi del racconto fluviale, e, pur perdendo ogni tanto la rotta, rappresentano di certo una delle formazioni più originali del panorama nero europeo: le sfaccettature di "Zu Dunkel Für Das Licht" pretendono dall'ascoltatore pazienza e attenzione per essere comprese appieno e, nonostante piccoli grumi di prolissità, l'impresa vale comunque lo sforzo. I tesori oscuri continuano ad accumularsi nelle profonde cavità delle banche elvetiche.




01. Der Untergang
02. Das Feuer
03. Der Zahn Der Zeit
04. Unerwarteter Besuch
05. Endstille
06. Dem Engel Noch Zuhören
07. Klangfeind - Neuzeithasser
08. Traurige Geschicht
09. Rudi
10. Sonne
11. Weisse Welt
12. Zweiundzwanzig
13. Erlösung
14. Stille

Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool