Tornano, dopo oltre dieci anni di apparente silenzio nel quale i Nostri si sono concessi più all’arte cinematografica (con la scrittura di colonne sonore) che non a quella discografica, gli Epsilon Indi, e lo fanno con un disco – l’ottavo in carriera – di carattere elementare, con l’acqua come assoluta protagonista.
Ottima, in questo senso, la decisione di aderire al loro concept con stoica volontà artistica, unendo allo schema del noise rock alternativo italiano una spiccata – preponderante, si osa dire – anima new age, ieratica e solenne come solo i Dead Cand Dance sanno essere, al tempo spesso placida e contemplativa come la Enya più sommersa nel suo “Watermark”. Nel mezzo, umori jazz (“Just A Game”), ballate essenziali piano, archi e voce (“Shine”) e, perché no, l’immancabile evasione wave ottantiana (“Unreal”).
L’esperimento, per quanto sicuramente affascinante, e per quanto efficace nel conferire un perenne umore umido al disco, paga tuttavia lo scotto di essere assai poco fluido, a tratti confuso, e certamente poco essenziale nei suoi brani di medio-lunga durata che non riescono a mantenere salda l’attenzione dell’ascoltatore che, ironia della sorte, scivola via come acqua trattenuta tra le dita.
Che “Wherein We Are Water” non sia un inciso prodotto da mestieranti si sente – non fosse solo anche per la brillante produzione sonora. Tuttavia, c’era forse bisogno di concedere meno alla mera pretesa artistica e di più al cuore, magari producendo almeno un paio di pezzi devastanti come il più potente degli Tsunami. Perché questo, in fondo, è pur sempre un disco, e non una colonna sonora.