August Burns Red
Rescue & Restore

2013, Solid State Records
Metalcore

Recensione di Lorenzo Brignoli - Pubblicata in data: 05/08/13

Ormai un’istutuzione tra le band metalcore, gli americani August Burns Red arrivano al quinto full-length (sesto se consideriamo l’atipico “Sleddin’ Hill” dell’ottobre scorso) in soli otto anni. Come tutti i suoi predecessori, “Rescue & Restore” riesce nel non facile compito di battere la “peak position” nelle classifiche americane dell’album che l’ha preceduto (un nono posto negli States, contro l’undicesimo del buon “Leveler”). Un mero fatto statistico, certo, ma che senza dubbio ben sintetizza la popolarità tuttora in ascesa del quintetto della Pennsylvania.

Da fan della prima ora degli americani (li scoprii per caso su internet nel lontano 2006), la loro esplosione non può che farmi piacere e mi sento di definirla meritatissima. Grazie anche ad una tecnica sopra la media, gli August Burns Red infatti hanno sempre saputo distinguersi dalla miriade di band banalotte e derivative d’oltreoceano con un sound personale fin dai primordi, ricco di cambi di tempo, cori, riffing melodico ma mai troppo “svedese”, ed un uso mai scontato dei breakdown (merce rara questa, nel metalcore). Per chi conosce la band sa che il loro salto di popolarità avvenne dopo l’innesto di Jake Luhrs al microfono e Dustin Davidson al basso e la pubblicazione del fondamentale “Messengers” nel 2007. Il disco si distingueva quel tanto che bastava dal debut (l’ottimo e a mio modo di vedere sottovalutatissimo, “Thrill Seeker”)  per poter costituire una nuova base del percorso musicale degli August Burns Red. I due successivi album, seppur dotati di qualche canzone e sprazzo di assoluta originalità (una su tutte, “Internal Cannon” da “Leveler”) hanno sempre seguito la falsa riga di “Messenger”, comunque mantenendo un livello qualitativo altissimo. In altre parole, come tante altre bands, gli americani avendo trovato una formula vincente hanno deciso di non cambiarla.

Per questi motivi era quindi lecito aspettarsi che “Rescue & Restore” seguisse questa direzione ed infatti il muro sonoro che caratterizza gli August Burns Red è ancora una volta presente con tutti i suoi ingredienti: il riffing di Brubaker e Rambler, ricco di stoppate, riff rapidi e melodici è mischiato alla potenza  sprigionata dalla batteria di Greiner e dall’intenso screaming di Luhrs. Novità invece, come potrete intuire, gran poche. I nostri non hanno apportato modifiche alla struttura tipica delle canzoni, utilizzando tutti gli ingredienti di cui sopra, limitandosi a qualche aggiunta particolare qua e là (su tutti il violino e la tromba di “Creative Captivity”) e poco altro.

Come detto, conoscendo la storia della band, ci si poteva aspettare l’ennesimo disco su questa falsa riga, purtroppo però, per la prima volta, il livello qualitativo è calato. “Rescue & Restore” è sicuramente dotato di sprazzi di altissimo livello (tre canzoni spiccano su tutte: “Treatment”, “Sincerity” e “Beauty in Tragedy”) ma allo stesso tempo non riesce a mantenere un’intensità elevata per tutta la sua durata. In altre parole, è un album discontinuo e a tratti prevedibile, con meno pezzi e riff memorabili del solito e che non può reggere il confronto con “Messengers” o “Constellations”, basta ascoltare uno di questi due subito dopo l’ascolto di quest’ultimo platter degli americani per rendersene conto. Ovviamente, siamo sempre ampiamente al di sopra della media della scena e non di fronte ad un brutto disco, solo un piccolo campanello d’allarme che ci ha lasciato un po’ di amaro in bocca.



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