Shaman
Immortal

2007, Scarlet Records
Power Metal

Recensione di Gaetano Loffredo - Pubblicata in data: 04/04/09

Al povero Ricardo Confessori deve essere caduto il mondo addosso quando tre dei suoi vecchi compagni, Andre Matos,  Luis e Hugo Mariutti, hanno abbandonato il gruppo lasciando supporre, di fatto, al prematuro scioglimento di una formazione che nasceva dalle ceneri degli Angra di Fireworks: gli Shaman.
Ricardo ha preferito lasciarsi alle spalle i problemi, che lui stesso definisce “misunderstandings”, dedicandosi alla ricerca di nuovi musicisti e di un’etichetta per mettere in atto l’ennesima rinascita di un sound che, vuole celebrare i capolavori Angel’s Cry e Holy Land passando per il debutto Ritual, tralasciando i modernismi di Reason.

In soccorso di Confessori si sono materializzati Thiago Bianchi (voce), Leo Mancini (chitarre), Fernando Quesada (basso) e la nostrana Scarlet Records che, in tempi discretamente rapidi, gli hanno permesso di rilanciare l’importante nome con il terzo disco: Immortal.
Coniugare i ritmi tribali di stampo verde-oro con il power-prog metal di matrice europea è un “vizietto” che si ripresenta anche in questa nuova versione degli Shaman, una contaminazione un po’ stantia se ripenso agli ultimi dieci anni, basata in ogni caso sulla sensibilità artistica del gruppo di turno.

L’intro orchestrale Renovatti è un’epica rincorsa verso Inside Chains, opener perfetta, che ha come obiettivo basilare la presentazione ufficiale di Thiago Bianchi, il nuovo cantante, dotato di potenza ed estensione notevoli ma eccessivo nei punti in cui sembra sia costretto ad emettere i tanto amati/odiati “ultrasuoni”, come nel caso del quasi inascoltabile ritornello di Tribal By Blood. Non che mi faccia impazzire il timbro, ma spezzerei una lancia in suo favore a patto che non lo si voglia paragonare ad una star mondiale come Andre Matos: il confronto, per gli intenditori, è improponibile.
Superato lo scoglio voce, non resta che soffermarci sulla qualità delle composizioni (è qui che, purtroppo, il disco non convince pienamente), anche perché sia Leo Mancini che Fernando Quesada, le new entries, garantiscono competenze e tecnica sopra la media.

Tolto lo splendido up tempo Inside Chains, che abbiamo menzionato poco fa, Immortal alterna momenti di discreta musicalità, In The Dark e la title track, a momenti di basso profilo artistico, Strenght e Never Yeld, brani derivativi e piuttosto anonimi, rifiniti da una sezione orchestrale non sempre, causa anche di una produzione ambigua, inquadrata nel contesto.
Bisognerà cercare, poco a poco, di affinare quello che più di una volta ho definito “spiccato senso melodico” tenendo conto che, nel caso specifico, il disco pecca semplicemente di “capacità creativa”: le idee ci sono ma non vengono applicate nel modo corretto.

I brasiliani non riescono a convincere, complice una scrittura non sempre felice e qualche idea buttata lì giusto per riempire gli spazi vuoti di un’ispirazione frettolosa. O almeno questa la mia sensazione dopo un numero incalcolabile di ascolti.
Immortal non è affatto un brutto disco, ma lontanissimo parente dei capolavori a cui si vuole far riferimento. Penso ad un momento di transizione (dopo le sconquassanti vicende) che porterà la band di Confessori a una fase di assestamento definitivo: l’intesa e la serenità di un gruppo sono caratteristiche in grado di restituire quella marcia di cui gli Shaman, oggi, hanno estremo bisogno.




01.Renovatti
02.Inside Chains
03.Tribal by Blood
04.Immortal
05.One Life
06.In the Dark
07.Strenght
08.Freedom
09.Never Yield
10.The Yellow Brick Road

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