Brett Anderson
Black Rainbows

2011, Autoproduzione
Pop Rock

Ennesima testimonianza dell'ispirazione (discontinua) che muove la carriera solista della voce degli Suede
Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 26/12/11

Dopo cinque anni di fisiologico silenzio dallo split degli Suede, la storica voce della celebre brit-rock band, uno dei tanti baluardi dell’esplosione del primo movimento nei ‘90s, si prese largamente la sua rivincita pubblicando ben tre dischi in tre anni. Oggi, ad alcuni mesi di distanza dall’annunciato nuovo parto discografico degli Suede a seguito della reunion (ma senza Bernard Butler), Brett Anderson torna sul mercato con “Black Rainbows”, un disco che, nelle intenzioni del suo autore, doveva suonare decisamente più rumoroso e selvaggio rispetto al predecessore “Slow Attack”, un inciso pesantemente venato da influenze chamber pop che, ai più, è risultato molto noioso ed indigesto.

Premettiamo che le rockeggianti intenzioni non sono state propriamente trasposte su disco - “Black Rainbows” è un lavoro che, a livello di durezza di sound, si avvicina all’ultima fase Suede - ma specifichiamo anche che questo non è il principale problema dell’opera in esame, album che parte in quinta su una vertigine elettrica ed inquieta, preludio dell’apertura melodica e lirica del ritornello di “Unsung”. Poi, che dire della power ballad - nonché primo singolo estratto - “Brittle Heart”, con una melodia così cristallina che porta il brano verso una cantabilità totale ed estrema, dalla prima all’ultima strofa, oppure del puro manifesto brit-pop from the ‘90s che è “Crash About To Happen”, giocosa ma con quel velo di malinconia a conferire robustezza al brano, per concludere con una spruzzata ‘70s di hammond contrappuntato meravigliosamente dal synth in “I Count The Times” e da “The Exiles”, che verrebbe approvata senza indugio dal Jarvis Cocker più intransigente.

Purtroppo, da “This Must Be Where It Ends” in avanti il disco pare come accartocciarsi su se stesso, fornendo sì sempre una magnifica testimonianza della capacità di arrangiare e cantare - in quel tipico tono mellifluo e squillante - del nostro buon Brett, ma anche una minore capacità delle diverse canzoni di far presa sull’ascoltatore, e questo nonostante alcune interessanti soluzioni come la rilettura dello stoner in chiave pop che avviene su “This Men Dancing”. Autoprodotto dallo stesso Anderson, “Black Rainbows” è, a conti fatti, un disco fortemente discontinuo, che ci restituisce un compositore in discreto stato di ispirazione musicale, e che fa ben sperare verso un ritorno targato Suede di quelli in grado di lasciare il segno. Tuttavia, limitandosi ad una visione più mirata verso il presente, questo inciso, così come un po’ tutti quelli della carriera solista dell’artista inglese, dimostrano che il lato forte del Nostro non è propriamente la musica, ma la voce: quella, credetemi, è in forma e smagliante come non mai.

Con un piccolo aiuto da parte dell’ex compagno Oakes (in mancanza di Butler, va bene anche lui), l’anno prossimo torneremo a parlare di Brett Anderson in toni decisamente più lusinghieri; per ora, limitiamoci a dire che “Black Rainbows” è un disco che mitiga tranquillamente il senso di nostalgia ed attesa dei fan degli Suede, smaniosi, oramai, di veder tornare sul palco i loro beniamini in formazione completa.



01. Unsung
02. Brittle Heart
03. Crash About To Happen
04. I Count The Times
05. The Exiles
06. This Must Be Where It Ends
07. Actors
08. In The House Of Numbers
09. Thin Men Dancing
10. Possession

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