Bloodrock
Bloodrock

1970, Capitol
Hard Rock

Recensione di Giovanni Capponcelli - Pubblicata in data: 20/05/09

I Bloodrock sono uno dei grandi complessi dimenticati d’America, titolari di una corposa discografia e persino di qualche hit nei primi ’70, nei quali incisero per la Capitol ben  5 LP  di cui almeno i primi sono degni di nota. Texani di Fort Worth, non riusciranno purtroppo a imporre la loro musica nel tempo e saranno in futuro ricordati solo per una certa immagine truculenta derivatagli dal nome (pensa un po’…), dalle copertine degli album ai limiti dello splatter (vedi il quarto album), orride, non del tutto orrende e dal loro singolo di maggior successo D.O.A., truce e orrorifica quanto superficiale dissertazione sulla morte.

Furono in realtà una scanzonata carovana di Hard Rock puro, in risposta alla nuova invasione inglese (Jeff Beck, Cream, Led Zeppelin…) nelle classifiche americane tra il ’69 e il ‘70. La loro musica non è estranea ai primi eccessi Southern, con cui condividono un organico esteso (sono in 5 strumentisti a suonare pezzi in cui ne basterebbero 3…) e nemmeno a certe tentazioni “progressive”, pericolosissime quando non si ha la tecnica e la cultura adeguate. I cinque musicisti sono infatti onesti rocker, solidi e concreti ma senza troppo genio: il leader, cantante e percussionista Jim Rutledge, possiede una voce calda e molto “maschia” ed è batterista potente e preciso, i due chitarristi Lee Pickens e Nick Taylor sanno bene come suonare riff violenti quanto basta e imbastire assoli credibili; Stevie Hill, tastierista, mostra una tavolozza timbrica abbastanza variegata da concedere ad ogni brano una propria personalità; completa il combo il bassista Eddie Grundy. Loro manager e produttore, fino al 1972 è Terry Knight, inventore e mentore di un altro gruppo heavy che dominerà inaspettatamente le classifiche fino alla metà dei ’70: i Grand Funk Railroad. E’ della partita anche il giovane chitarrista Texano Jack Nitzinger, compositore di alcuni brani sui primi due album del gruppo e che presto troverà la propria possibilità di sfogarsi nel rock (Nitzinger, Capitol 1971 e One Foot in History, Capitol 1972).

La prima omonima uscita dei Bloodrock, datata (in molti sensi) Aprile 1970, è l’epitome di un sound che, ahimè, non ha retto al trascorrere degli anni ed è ormai una sorta di meraviglioso fossile musicale: Les Paul, Hammond, Ludwig e Marshall, brani estesi, duelli e jam strumentali, voci maschie e proclami testosteronici in salsa B-Movie: quanto basta per accostarli in superficie ai Deep Purple di Machine Head; in realtà quello dei Bloodrock è un suono meno levigato e più “underground”, a metà tra i primi Atomic Rooster,  i colleghi Grand Funk e con una certa “grandeur” in stile Mountain. Le loro canzoni sono solo apparentemente brani complessi dalle multiformi parti strumentali corali e soliste: in realtà la loro musica si basa soprattutto su ripetitivi e primordiali riff di 2-3 note (precursori dei Black Sabbath?) ricoperti e nascosti dal volume strumentale. Questa semplice formula, con qualche controllata tendenza prog, funziona a meraviglia e l’album è sempre divertente e mai noioso, anche perchè il gruppo padroneggia bene e anzi non nasconde tutti i clichè e i trucchi  del genere Hard.

L’opener “Gotta Find A Way”, sugli iniziali accordi della chitarra e dell’organo, trova la sua essenza in un martellante riff tastieristico su cui si sviluppa la solista di Pikens; il brano è sorretto dal tappeto percussivo di Rutledge, impegnato a ripetere ossessivamente il refrain (“I gotta find a way to under stand”) per i pur eccessivi 6’30’’ del pezzo. Bizzarria di produzione: nel caos strumentale all’apertura, una “gola profonda” nel mix recita (rigorosamente registrata al contrario) “Anyone who is stupid enough to play this record backwards deserves what he is about to hear”. Il gruppo aggiusta il tiro su “Castle Of My Thoughts”, forte di un bell’uso della cowbell di Rutledge; il brano vive di un riff più elaborato, che meglio supporta la linea vocale e i break di chitarra e hammond che costantemente si scambiano la parte solistica. Curioso come questi primi due brani ruotino attorno al concetto della “via di fuga” e della “giusta strada”, che il gruppo sta musicalmente mettendo a fuoco (“Here I stand in the castle of my thoughts / Lookin for a new way out”).  “Fatback” è un mid-tempo monocorde con il piano che si aggiunge all’hammond e una chitarra miagolante e distorta. Bellissima e molto heavy la successiva Double-Cross a firma Nitzinger: l’intro strumentale guidata dalla chitarra e dal basso di Grundy termina nel più equilibrato e simmetrico riff del disco, con un andamento alla Black Sabbath molto contagioso; elementare ma appropriato il solo di Pickens; bella la prova di Rutledge che se la cava bene nel chorus crescente che è una specie di avventura poliziesca di strada (“my friends all told me bout the things you said / Huh when I get you ya gonna be dead /Don't try to run there ain't no place to hide /Coz I got justice on my side”); finale col botto nella ripresa dell’intro sommersa in un collasso tastieristico che getta un’ inquietante e profondissima vibrazione in lenta dissolvenza. Trovata che è una liason naturale con il sinistro incipit del brano migliore (o per lo meno più esaltante) dell’album: “Timepiece”. Aperto da un ronzio di hammond e un tetro arpeggio semiacustico di chitarra, il recitativo del cantante è inteso e meditato nell’introdurre i temi cupi cari al gruppo (“I see the timepiece movin on /Preacher visits me at dawn /I'm gunna have to pay my dues /I wouldn't mind but my life I lose”); ma la suspance dura poco: un ululato di chitarra apre un motivo ritmico semplice, continua variazione dei precedenti, su cui decolla una delle gemme del LP: la bellissima chase tra chitarra e tastiere: tecnicamente non impeccabile ma veramente scenografica; poi il ritmo rallenta e torna il monologo meditabondo di Rutlrdge direttamente su una percussione realmente “cardiaca” (Blood – rock, no?); stessa struttura alla ripresa del riff, ma invece di inseguirsi, chitarra e tastiere questa volta duettano finalmente all’unisono; bello. Mezzo minuto di troppo invece nella monocroma coda strumentale che aveva il compito di chiudere il lato A. In generale un “thriller”, musicale e non solo (“I pray to God give me more time / I hear those steps movin down the hall”).

Con “Wicked Truth” tornano alla ribalta i ritmi tribali ma elaborati di Rutlrdge e gli accordi geometrici di Nitzinger: il pezzo è elementare ma ben interpretato. “Gimme Your Head”, unico  brano firmato dal bassista, è un frammento di power-pop Zeppeliniano con una bella melodia e un ritornello carico e orecchiabile, sostenuto dalla chitarra di Pickens e dalla voce maschia di Rutlrdge che declama un tardo poema dai sapori psichedelici, o forse semplicemente confusi (“I've seen things that I can recall /I've heard things that I never heard at all /I've had dreams that I never knew /I've had something that I never knew”). Gli ultimi due brani sono l’apice dell’ambizione del gruppo, nonché incarnazioni delle loro tendenze estreme ed opposte: prog e metal. “Fantastic Piece Of Architecture “è un elaborata suite di quasi 9 minuti, arrangiata pomposamente alle tastiere tra Vanilla Fudge e Procol Harum: Rutledege fatica un po’ in una linea di canto lirica e dilatata, ma se la cava; bellissima la melodia di scale discendenti disegnata dal pianoforte; nel complesso un brano cupo, autunnale e decadente, con frammenti di chitarra spaziale e una batteria finalmente silenziosa. Il trascorrere inarrestabile del tempo (come già in Timepiece), la discesa e il tramonto dell’uomo e dell’arte sono i temi di una riflessione molto più matura e originale della futura hit D.O.A.: bello il disfacimento congiunto dell’Opera e del Maestro che la forgiò (“He knows he must go inside /Through huge open doors /He feels the breath it's stealing /He lays on the floor and he dies /In his fantastic piece of architecture”); il brano lascia all’ascoltatore un profondo senso di vacuità neoclassica, come una villa palladiana deserta sotto la pioggia.

A riportarci al piano terra arriva “Melvin Laid An Egg”, e questa volta Nitzinger (evidentemente la sponda più hard del gruppo) sfodera un riff “monstrum” per proporzioni, volume e cattiveria colossali, degno anticipatore del micidiale Iron Man dei Black Sabbath e memore delle voluminose esplosioni metal nei riffs e nella cadenza di Evil Woman di casa Spooky Tooth (brano quest’ultimo addirittura del marzo 1969, sei mesi prima di Led Zeppelin II!). I Bloodrock privilegiano nel loro caso la dualità insanabile tra il riff deflagrante e schegge semiacustiche con cori di voci bianche à la CSN&Y: un brano doppio e bifronte, ma ben bilanciato e ponderato; Nitzinger avrà peraltro occasione di fare ammenda di tutta questa violenza con la dolce Sable and Pearl sul secondo album del gruppo. Nessun commento sulla storia di “Melvin and his egg”, se non che ancora ritorna l’ angoscia per il tempo che passa, ormai vera idea fissa del gruppo (“I ain't got the time to sit and explain my mind”). Bello, esteso e più rilassato il solo di Pickens, chiude ottimamente l’album, che nonostante alcune ingenuità (è pur sempre l’esordio), alcuni clichè fin troppo sbandierati, è concreto e perfettamente in linea con i tempi (passati), quindi inevitabilmente datato.

Quest’esordio sarà preceduto dall’incomprensibile singolo “Gotta find a Way” (lato b addirittura “Fatback”): altri brani erano più degni di comparire su 45 giri.  Il gruppo sfornerà altri lavori (alla faccia del tempo che sfugge…), in parte anche rinnegando la sponda hard (quella che alla resa dei conti funziona meglio) in favore di dinamiche progressive e addirittura jazzate; ma il Texas dei primi ’70 non era luogo per tali divagazioni, più adatte alla scena di Canterbury. Eppure il successo arriverà proprio con uno dei brani involuti del secondo album D.O.A., canzone che anzi sarà un piccolo caso nel rock dell’epoca. Scherzi della musica, e dei tempi.


Line Up:

Jim Rutledge - Lead Vocals & Drums
Lee Pickens - Lead Guitar
Nick Taylor - Guitar & Vocals
Ed Grundy - Bass & Vocals
Steve Hill - Keyboards & Vocals



01.Gotta Find a Way
02.Castle of Thoughts
03.Fatback
04.Double Cross
05.Timepiece
06.Wicked Truth
07.Gimmie Your Head
08.Fantastic Piece of Architecture
09.Melvin Laid an Egg

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