Sembra un nome nuovissimo, ma in realtà gli Armonite erano già attivi nel 1999: un giovane quintetto pavese dalle radici prog che aveva pubblicato un interessante debutto, dal nome "Inuit", prima di far perdere completamente le sue tracce.
"The Sun Is New Each Day" riprende le fila di un discorso abbandonato sedici anni fa, con soli due membri originari in line-up (Jacopo Bigi, al violino elettrico, e Paolo Fosso, alle tastiere), e con la collaborazione di individualità che fanno sicuramente schizzare l'attenzione alle stelle: Colin Edwin, storico bassista dei Porcupine Tree, e Paul Reeve, produttore degli esordi dei Muse, che ha supervisionato la registrazione del disco ai prestigiosi Abbey Road Studios di Londra.
Quella degli Armonite è una matrice che pesca dal progressive classico, come detto, che si ancora sì al virtuosismo settantiano, ma che riesce al tempo stesso a modernizzare il suo spettro sonoro vagabondando nell'ambient e nell'elettronica. Violini, pianoforti sintetici, campanelli (il particolare andamento da fiaba natalizia di "'G' as in Gears", il tripudio nordafricano di "Sandstorm") cacciano via dalla scena voci e chitarre, dando un impatto senz'altro originale, interessante e barocco ai dieci brani in tracklist.
In generale, però -fatta eccezione per un paio di romanticherie, nel mezzo di "Satellites" e in"Le Temps Qui Fait Ta Rose", dove l'intera sovrastruttura sintetica scompare- "The Sun Is New Each Day" non pare motivato da un'autentica urgenza comunicativa, ma pare al contrario essere più che altro un saggio di cervellotica creatività, di strumentale competenza, di stramba fantasia.
Un disco castigato, peraltro, da una forma se non caotica comunque fortemente disorganizzata, da una produzione tanto plasticosa da farlo sembrare mixato su un Commodore (i suoni campionati da Super Mario in "Insert Coin" rasentano quasi l'autoparodia), e da una preoccupante assenza di amalgama, che rende davvero difficile trovare la motivazione per andare oltre il primo ascolto.