Un nome fortemente ossimorico, un verde abbacinante quanto inquieto, titoli cupi e crepuscolari: i Giardini di Chernobyl impacchettano in una veste d'assoluto impatto il loro album d'esordio, la prima impronta del loro morboso, ruvidissimo, ossessivo sound.
"Cella Zero" si muove con una malsana grazia tra concreti residui di grunge (le sofferenti chitarre e i bassi spessissimi della cavalcata "Jekil", solido altare per un urlato sacrificio d'ugola che richiama alla mente Mr Layne Staley) e compatte muraglie sonore da metal degli anni zero (il groove impenetrabile - se non per atmosferici, impalpabili spiragli di luce sui ritornelli - di "Mentre Lisa Dorme").
I testi, rigorosamente in italiano ma ciondolanti in un'andatura che a tratti ha musicalità anglosassone, parlano di ricordi e amori, omologazioni e ossessioni in un fiorire di sanguigne metafore, con ripetuti sprazzi di immaginifico ermetismo verdeniano. E tra riff per lo più devastanti affiora anche, in svariati episodi, una non banale orecchiabilità (si pensi ai respiri più distesi su "Un Infinito Inverno") che riesce a rendere ancora più accattivante un debutto cui è davvero difficile muovere critiche. Una bellissima sorpresa.