Jack White l'ha fatto ancora. Ha riascoltato il meglio delle proprie registrazioni con White Stripes e Raconteurs, le ha messe da parte ed ha deciso di cambiare ancora. Due anni fa fu "Blunderbuss" il documento di registrazione al club dei solisti: oggi "Lazaretto" lo fa accedere direttamente al privé. In copertina si autocelebra in una posa tanto solenne quanto malinconica: il disco, invece, contiene la consapevolezza della maturazione, accettata con rinnovata fiducia ed il caratteristico ghigno di chi sa di aver sorpreso, ancora.
Il nuovo album non prende le distanze dal precedente: in ogni brano di "Lazaretto" sono contenute almeno tre ideologia sonore, in una miscela sincera e mutante di canzoni ibride e vintage che avvicinano tutte le undici tracce al ruolo di singolo. L'alternanza tra elettricità e suoni legnosi è costante: ad essa si aggiungono i diversi accostamenti vocali femminili che accompagnano l'autore nel racconto delle proprie storie. Da "Just One Drink" in stile Rolling Stones a "Temporary Ground", si avverte la nostalgia dei tempi andati: White disegna scenari realistici in cui i suoi personaggi danzano illuminati a metà dal tramonto del sole. Il vizietto della distorsione alla "Seven Nation Army" è più che piacevole nella "That Black Bat Licorice" che prepara alla conclusione della tracklist. "Want and Able" infine è la filastrocca a metà fra romanticismo e tragicommedia che chiude un vero e proprio masterpiece, una delle sorprese più attese dell'anno.
"Lazaretto" trasmette il divertimento di White nel comporre, scomporre e reinventare qualcosa di indefinibile già controllato saldamente: Jack è già un adulto che gioca con i mattoncini della sua sostanza sonora, e nelle vesti di solista trasforma l'esperienza di una lunga carriera trascorsa a curiosare e creare in inimitabili pennellate di superiorità. Confermato a pieni voti.